Il grido di aiuto di una generazione
“I giovani sono terra di nessuno”, diceva il Servo di Dio don Oreste Benzi. Ma in pratica nessuno si occupa dei giovani. Interagire con i ragazzi non è semplice. La società è portata ad alzare muri, a categorizzare le persone. E così le generazioni appaiono sempre più divise tra loro. Adesso ci sconvolgono le immagini di violenza, rimbalzate da un telefonino all’altro, di una rissa furiosa. Quella divampata tra adolescenti, o poco più, che si sono reciprocamente scagliati addosso sedie e tavoli in mezzo a famiglie e anziani. La prima reazione nel vedere una situazione del genere è allontanarla da noi, pensando che mai possa riguardare il nostro ambiente vitale, la quotidianità di ciascuno di noi. E invece la guerriglia nello chalet di Fabriano è avvenuta proprio dove qui, al culmine di un evento carico di significato e suggestione come il Palio di San Giovanni Battista. Uno sfregio ad una storica e pacifica occasione di aggregazione e incontro nel cuore della cittadina. All’incredulità, quindi, subentra un sentimento di bellezza violata, vanamente dissimulato dall’illusione che i responsabili vengano da fuori. Siamo di fronte a giovani che si picchiano selvaggiamente. Assistiamo attoniti al manifestarsi di quello che papa Francesco definisce lo “spirito di Caino”. Perciò non ha senso fare insussistenti distinzioni. Sono tutti figli e nipoti nostri. Una di quelle sedie avrebbe potuto anche ferire gravemente o segnare la vita di qualcuno. Non parlarne o nascondere la polvere sotto il tappeto è un errore. Con la stessa onestà va rilevato che i giovani e i bambini di oggi sono mondi profondamente diversi e distanti. E questa distinzione si accresce continuamente. I teenagers esprimono una rabbia, un malessere da interpretare. La loro aggressività deve indurre a metterci in discussione. Le esplosioni collettive di rabbia sono ormai un fenomeno capillarmente diffuso ovunque. Nelle periferie metropolitane e nei piccoli centri. Non sono più episodi rari, bensì una deriva sistematica. Dobbiamo chiederci, dunque, dove ci porteranno le mani alzate contro Abele e la furia repressa da scaricare ad ogni costo. Dietro a tutto ciò c’è un grido di solitudine. Una richiesta di affetto che non si sente ma si vede nell’uso sempre più elevato di alcol e droghe e nella ludopatia dilagante che affligge tante famiglie del territorio. L’urlo dei nostri ragazzi è il grido individuale e collettivo dei loro silenzi, di schiavitù e prigionie che la comunità finge di ignorare. A questo scenario inquietante si contrappone l’immagine limpida degli oratori e cioè dell’altra faccia della stessa medaglia, quella che da speranza per una nuova umanità più pacifica e mansueta. Negli occhi dei bambini si legge la fiducia in un modo migliore con il rischio che non gli verrà dato, deludendo le loro aspettative a causa di quei cattivi maestri e cioè di adulti poco corresponsabili nella educazione delle nuove generazioni. Dai loro sguardi affiorano l’innocenza e la domanda di futuro. Negli oratori si trasferisce proprio questa speranza che è nostro compito di adulti far sì che invece non venga tradita. Dalla vita animata e travolgente degli oratori si respira quanto i bambini cerchino modelli positivi, costruttivi. I piccoli sono assetati di persone credibili, di esempi diversi da quelli presentati da una società rabbiosa. Anche nel mio oratorio Carlo Acutis della parrocchia di San Nicolò stiamo assistendo a questa voglia di stare insieme nel bene, nella gioia, nel divertimento sano, nell’incontro rispettoso anche con le diversità. Sembra un miracolo vedere questi bambini e ragazzi desiderosi di imparare in un impegno condiviso dove la competizione consiste nel chi testimonia le proprie virtù. Andiamo contro corrente e questo è molto bello, i genitori restano felicemente meravigliati e non si sentono soli nel loro impegno educativo. Abbiamo l’opportunità e la responsabilità di ricominciare dall’oratorio come modello di una nuova comunità fondata sulla capacità di condividere e di apprezzare le diversità. E’ così che le nuove generazioni possono imparare a rispettarsi affinché tutto si fondi sulla sacralità del rispetto dell’altro. La regola d’oro del nostro stare insieme è credere nel bene dell’altro. Imparare a stimare e ad incoraggiare soprattutto chi si trova ad affrontare una situazione di disagio. E’ questa la strada per riconoscere nell’altro l’umanità che è in ciascuno di noi.
don Aldo Buonaiuto