Editoriali

Il valore nascosto

«Non viviamo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca», dice Papa Francesco. E lo ripetiamo spesso, non come un mantra, ma come consapevolezza di fronte all’oggi. È una verità profonda con cui fare i conti. Siamo infatti in una stagione di passaggio e quindi dobbiamo coglierne i segni dei tempi. Gli anziani, come i profughi e i migranti, sono un decisivo segno dei nostri tempi. Chi è l’anziano oggi? Quante età si celano dietro la sempre più generica definizione di "terza età"? Qual è l’impatto della forza omologatrice della globalizzazione su questa età della vita? Sono interrogativi complessi, ma vale la pena non eluderli perché il mondo invecchia a qualsiasi latitudine e questo secolo dovrà prima o poi farci i conti, anche se la cultura dominante ignora gli anziani o trucca la loro vita con i colori della giovinezza. Uno dei più illustri gerontologi contemporanei, Jerôme Pellissier, ha scritto: «Non è un caso se i tre discorsi dominanti sulle persone anziane sono di ordine demografico, medico ed economico: invece di pensare la vecchiaia, ci si focalizza sui numeri, sui corpi e sui costi. La stessa difficoltà di trovare il termine adeguato testimonia il malessere: "vecchio" in opposizione a "giovane", percepito quasi come un insulto, è diventato una specie di tabù». È vero: il discorso pubblico sulla condizione anziana è afasico, quasi un tabù. Manca un "pensiero" sulla vecchiaia. È paradossale, in un tempo in cui la vita si allunga in modo appunto impensabile anche solo fino a pochi anni fa. Francesco, forse il primo Papa che ha parlato in modo organico del tema, in una delle sue catechesi, dedicata ai nonni, ha detto: «Questo periodo della vita è diverso dai precedenti, non c’è dubbio; dobbiamo anche un po’ "inventarcelo", perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente, a dare a esso il suo pieno valore». C’è bisogno di una svolta pastorale da parte delle comunità cristiane: parlare al cuore perché si affermi un’arte dell’invecchiare «per gli altri e non contro gli altri». Del resto, ogni età ha bisogno di conversione e non si smette mai di essere discepoli: è questo il segreto della giovinezza spirituale. La Chiesa è dinanzi ad una grande sfida: aiutare il sempre più popolato Continente Anziani (perché sono un continente che attraversa tutti i continenti) a scegliere chi essere. Persone benestanti o meno, con una gran paura di invecchiare, o donne e uomini pronti a fare della propria libertà un terreno per scoprire nuovi orizzonti? Riuscirà la Chiesa a trasformare gli anni in più in una chance umana e spirituale? Libertà, dono, dialogo, gratuità, memoria, preghiera: sono, secondo papa Francesco, tutte virtù profetiche della vecchiaia che possono rendere il mondo più umano e la Chiesa più evangelica. Occorre guardare alla vecchiaia con occhi nuovi: tempo dei rapporti gratuiti, dell’amore e dell’amicizia disinteressata, tempo in cui aiutare anche chi non è anziano a non averne paura. Soprattutto tempo che riporta in alto il primato dell’essere sull’avere.  E poi c’è il proficuo rapporto tra anziani e giovani. Se il carisma dell’anziano non è più la saggezza (come nelle vecchie società agricole), esiste però una 'utilità' dell’anziano nella bellezza della sua testimonianza, nella tenerezza, nell’accoglienza. Sono le dimensioni che colpiscono i giovani e i giovanissimi quando incontrano gli anziani. La Chiesa 'in uscita' di Papa Francesco avrà sempre più bisogno di anziani convertiti alla passione per il futuro, all’amore per le giovani generazioni, testimoni della fede, artefici di una fraternità che apre alla bellezza del vivere insieme. E che rompe e cancella la solitudine, dramma dei drammi. Spesso la solitudine ha i capelli bianchi. E così il senso di colpa per essere rimasti in vita. Succede al genitore che seppellisce suo figlio o all’anziano sopravvissuto a un’esplosione, mentre intorno è strage di famiglie, di giovani adulti, di ragazzi. Qui però è diverso. Adesso stiamo andando decisamente oltre.  Ora si vorrebbe pianificare la condanna a morte di chi continua a vivere mentre non dovrebbe esserci più. Perché ostacola il progresso, perché frena il turnover lavorativo, perché è un costoso “inutile peso”. Capita infatti che l’economista di origine nipponica Yusuke Narita, docente a Yale, negli Stati Uniti, suggerisca al Giappone, come rimedio all’esplosione dei conti pensionistici e stimolo alla natalità in uno Stato con appena 1,34 nascite per donna, l’eliminazione fisica dei vecchi. Il sistema sarebbe quello del suicidio di massa, con il metodo del seppuku, rituale imposto ai samurai che disonoravano il Paese.  Questo, sono parole sue riportate dal “New York Times”, consentirebbe «ai più giovani di farsi strada negli affari, nella politica e in altri aspetti della società che la generazione anziana si rifiuta di lasciare». Certo, visto il polverone di reazioni, Narita ha rettificato dicendo che quelle dichiarazioni erano state svincolate dal contesto, ma la sostanza rimane.  Una società che corre non può essere rallentata da chi fatica a camminare veloce e il progressivo invecchiamento della popolazione, con il maggior numero al mondo di over 65 anni, è un dato incontrovertibile, un’àncora da levare se si vuole che la nave possa navigare al largo. E poi non tutti hanno preso le distanze dal professore, anzi sui social giapponesi l’economista di Yale ha guadagnato migliaia di seguaci perché il male affascina sempre e ogni odiatore può contare su una qualche claque. In fondo il consenso si costruisce proprio così: si insinua un dubbio, quindi lo si rafforza piano piano, fin quando ciò che prima sembrava follia appare normalità o almeno verosimiglianza. In quest’operazione anche la storia aiuta: il senilicidio cioè l’eliminazione o l’abbandono degli anziani era presente in molte società tribali e gli stessi inuit dell’Artico, in carenza di cibo, sacrificavano i più avanti con gli anni. Quanto al Giappone l’indiretto precedente risale al 1948 con la legge sull’eugenetica che portò alla sterilizzazione di migliaia di persone con disabilità mentali o tare genetiche.  Di diverso, rispetto ad allora, oggi c’è la troppa solitudine dei vecchi che ne spinge tanti a compiere piccoli reati per andare in carcere in modo da aver qualcuno con cui passare il tempo. E allora sorge la domanda: ha senso zavorrare la società e l’economia per colpa di gente così? La risposta sta nello spessore della linea con cui distinguiamo le persone dalle cose, nel valore che diamo all’essere umano, nelle ragioni del cuore in quanto scrigno di sentimenti e non solo muscolo involontario che ci tiene in vita. Giusto e bello recuperare il magistero di Papa Francesco sull’importanza della memoria e il dialogo tra le generazioni, prezioso il contributo dell’antropologia per capire il valore della presenza anziana nelle nostre società, fondamentale ricordare quanti over 65 anni con il loro aiuto permettono ai ragazzi di progettare il futuro. Tuttavia, per replicare al docente dell’università di Yale, serve meno, molto meno. Basta, se abbiamo la fortuna di averli ancora, parlare con i nostri genitori anziani o con i nonni. Guardarli negli occhi. E magari abbracciarli. Il segreto sta tutto lì, nell’economia dei sentimenti. Che va oltre le leggi di bilancio e supera di gran lunga, per importanza, tutti i segni più e meno nel calcolo del Pil.

Carlo Cammoranesi