Editoriali

Per un vero sostegno alla famiglia

Non di rado e a fasi continue, si agitano polemiche intorno al tema della famiglia, ritenendolo vitale per il cammino di una società, ma spesso snobbandolo per un interesse sempre più marginale rispetto alle grosse questioni come il clima o la guerra. Ma la famiglia senza la comunità va in crisi. Senza una esperienza di comunità, sia in senso stretto di amici ma anche di comunità civile, di un ambiente insomma vivo e propizio, la famiglia muore. Per questo, una certa insistenza sul tema, giocato sul terreno della società e della laica 'convenienza' della istituzione familiare, presente in tutte le civiltà, potrebbe essere cieco o addirittura dannoso se non tenesse conto che la famiglia non è un organismo che può vivere isolato, come spesso invece accade e come viene presentato da una pubblicistica banale. Lui e lei in appartamento con un cane e forse un bambino e le fette biscottate di marca sul tavolo, e tutto intorno il deserto di relazioni e comunità.  Ecco, tale organismo è – oltre che poco attraente – astratto e destinato al fallimento. Ad esempio, la famiglia più famosa della letteratura italiana, quella de 'I Promessi Sposi', diviene una famiglia, in mezzo alle convulsioni e alle prove della storia che ieri come oggi non mancano, proprio grazie al sostegno e alla presenza di figure esterne, di una civitas che sostiene e dà respiro a quel progetto di vita.  Non a caso, è proprio la vista di una comunità in cammino verso l’appuntamento con il cardinal Federico che smuove infine il cuore del crudele Innominato a liberar Lucia. Intendo che in quel magnetico e profondissimo romanzo, come nella esperienza di molte famiglie, il senso vivo di appartenenza a una tribù o una comunità è determinante. Non si può pensar di salvar le famiglie mentre le comunità vanno a ramengo.  Del resto, come si vede nel potente romanzo 'I Buddenbrook' di Thomas Mann, la famiglia che intende far leva solo su di sé, che ritiene di resistere alle intemperie e di essere un’isola (in nome dei soldi o del buon nome) è destinata alla rovina. La famiglia così come riceve dalla comunità trova un suo senso in quanto dona alla comunità: non solo l’essenziale nuova vita con i figli, ma anche reciprocità di sostegno. Una famiglia-monade è, insomma, un controsenso, asfittico e poco vitale. Non a caso, specie quando si allentano le relazioni con la comunità (a partire da quelle elementari, di vicinato, o parentali) la famiglia può divenire un gorgo oscuro di problemi, di solitudini, fino a esplosioni drammatiche.  Per questo, unitamente al tema della famiglia dev’essere posto quello della comunità. Lo sanno bene i cristiani, ma è esperienza che riguarda tutti. L’insistenza sul tema famiglia, preso in sé, può essere meritoria al fine di sottolineare le necessità, specie in campo fiscale e dei servizi, alle quali una politica intelligente deve dedicare attenzione e risorse, ma può anche divenire parziale e ideologico. La questione politica della famiglia è la medesima della comunità.  Ed è questione molto scomoda oggi che il pensiero dominante, specie con una potente azione sull’immaginario dei più giovani, tende a isolare gli individui, a renderli neutri consumatori, ad allargare quel che il primo attento studioso della democrazia, Tocqueville, vedeva essere il suo buco nero e la ragione della sua crisi, oggi evidente: l’individuo trattenuto nel breve giro della ricerca delle soddisfazioni individuali, perciò ansioso e scontento. In giro non abbiamo elementi di conforto e di ripresa. Un giorno gli impressionanti dati sul tracollo delle nascite, quello successivo l’impietosa fotografia sulla disgregazione di modelli familiari che davamo per consolidati. Un “uno– due” da mandare al tappeto il Paese, non fosse che pochi sembrano accorgersi di quel che succede nella sua struttura portante, presi da tutt’altro. Se vengono meno consistenti legami familiari, di pari passo con la procreazione in termini sufficienti a rigenerare la società, tutto ciò che vi si poggia sopra è consegnato a un’inevitabile incertezza, dall’economia al lavoro, dal welfare alla scuola, alla sanità, terreni sui quali si consuma un estenuante dibattito pubblico apparentemente incapace di invertire il corso di fenomeni di tale portata.??Come una macchina che finisce la benzina e perde pure le ruote, ma il cui equipaggio continua a discutere vanamente sul viaggio, la strada e la meta. È una questione elementare di priorità: va preso atto collettivamente e con la massima serietà che qualcosa di irreversibile si va consumando nella fibra costitutiva degli italiani, in particolare dei giovani, sempre meno numerosi e sempre più incerti sulla strada da far prendere al loro futuro. La rinuncia crescente a procreare documentata dall’Istat è a sua volta l’effetto di un fenomeno ancor più profondo spiegando che prende forma una «società post– familiare».  Nel linguaggio dell’analisi sociologica l’espressione rimanda al dissolvimento del modello “canonico” di famiglia come riferimento prioritario nella mente e nel cuore di chi immagina la propria vita di domani, con il dilagare di tutte le possibili soluzioni, come un cantiere destinato a restare sempre aperto, un divenire mai del tutto compiuto, e comunque un obiettivo non più necessariamente centrale, ma accessorio ad altri traguardi. Cos’ha fatto spostare la famiglia nella sua conformazione originaria – edificata su un’idea di stabilità e aperta alla procreazione – verso la periferia dei percorsi di vita, consegnandola al mercato delle possibilità in mezzo ai suoi ormai numerosi surrogati???Il risultato è di credere che siano determinanti i soli incentivi, una diversa organizzazione dei tempi, migliori e più diffuse strutture di servizio: tutto indispensabile, intendiamoci, ma ancora non sufficiente a imprimere una spinta verso percorsi stabili e generativi. Se viene meno un modello credibile, se non è più evidente la preferibilità per la propria vita di un disegno che assuma il matrimonio e i figli come importanti e non accessori, anche le più generose ed evolute politiche familiari rischiano di ottenere risultati solo parziali. È nel tessuto della cultura diffusa che sembra essersi rotto qualcosa, come se chi trasmette il testimone alla generazione che segue non avesse da consegnare più nulla che si impone per la sua desiderabilità.  Ma seguendo il filo delle responsabilità si arriva ancora oltre, e sarebbe ingenuo non vedere come i modelli che si muovono nel rutilante immaginario giovanile nutrito da consumi culturali omologanti – tra web, social e serie tv – lavorano nella direzione opposta rispetto a ciò che la famiglia esprime, offre e significa, privilegiando con impeto suadente e tirannico atteggiamenti narcisisti, egocentrici, se non apertamente nichilisti. È la frantumazione dei valori propri di una “famiglia sociale”, che lascia sul terreno frammenti seduttivi ma nessuno dei quali in grado di costruirci sopra una vita. Decisivo allora è agire in ogni possibile spazio educativo, e attivando tutte le alleanze necessarie per tornare a coltivare attorno alla famiglia coniugale, e alla vita generata come suo frutto maturo, i due alleati interiori la cui mancanza oggi brucia come la sete nel deserto: la speranza per un futuro che si vuole abitare, non paga di un presente inesauribile e vorace che tutto usura; e il desiderio di “una vita così”, non consegnata al provvisorio e all’emotività, ma capace di sogni sulla misura del nostro cuore. Cioè senza fine.

Carlo Cammoranesi