Editoriali

La luce e l'esempio dei Magi

Provate a chiedere ai vostri familiari, parenti o amici, o anche al primo che passa per la strada, se avevano capito all’inizio dell’anno che cosa si poteva fare dopo l’Epifania, vale a dire nei giorni successivi, non mesi, ma giorni. Non ne abbiamo trovato uno che aveva le idee chiare. E non certo perché non ci si prenda la briga di informarsi, anzi: ciascuno di noi è attaccato ai giornali, ai siti, alle tv, alla radio. Le informazioni non mancano, al contrario sovrabbondano. Quello che manca è la chiarezza. Perché i primi a non avere le idee chiare sono quelli che dovrebbero decidere per noi. Tutto questo per dire che le informazioni che arrivano dal governo sono molte, confusionarie, contradditorie, spesso cervellotiche. Già non si capiva bene la divisione in zone gialle, arancioni e rosse: poi si sono cominciate a ipotizzare anche le zone 'giallo-rafforzato' e bianche. Nel frattempo molti italiani sono già in zona nera. In un momento drammatico come questo un grande Paese si unisce, non si divide, di apre, non si arrocca. La maggioranza di governo tende ad allargarsi, non a restringersi. I leader puntano a coinvolgere, non a difendere il proprio tornaconto. Mai le formule sono state così lontane dalla sensibilità della gente comune: Conte ter, responsabili, governo istituzionale, governo ponte… I cittadini vorrebbero sapere ed essere informati: non chiedono solo diversi risarcimenti, chiedono di conoscere come saranno spesi i soldi europei, come si pensa di rendere produttivi gli investimenti pubblici, come le risorse arriveranno alle imprese, come si creerà lavoro per i giovani. Purtroppo non è di questo che si discute a Palazzo. Viviamo continuamente di strappi, di litigi, di dimissioni, di crisi di maggioranza, di rimpasti… Abbiamo bisogno di un segno, di una speranza, di una stabilità, non di illusioni ingannevoli o dell’ormai tradizionale Dpcm per rimettere le cose a posto (e anche la coscienza…) con regole e divieti sì, ma senza un cuore, senza una strada. Si tratta di camminare, di mettersi in marcia, certi di una meta. Non fermarsi ad ogni intoppo. Quella strada, precisa, guidata, “accompagnata”, che i Magi, persone vive e vegete, non personaggi da fumetto, hanno percorso secoli fa, che abbiamo rivissuto ora, nel ricordare la festa dell’Epifania, collegata, fin dall’epoca dello splendore delle civiltà del vicino oriente, alla manifestazione di una luce divina che rischiara le tenebre del mondo. La luce di un astro è ricordata anche nella tradizione cristiana che, tuttavia, sposta in modo significativo il senso della celebrazione: è la natura umana – nel cristianesimo – a manifestarsi come luogo della salvezza. L’intervento del divino nella storia  non indebolisce o neutralizza l’umano, ma lo rende tempio di un incontro  destinato a cambiare coloro che liberamente lo accolgono: il Natale non si consegna agli uomini come una sdolcinata ricorrenza di buoni sentimenti, quanto come una novità metodologica destinata a durare per sempre.  Dopo la notte di Betlemme, Dio non si può più cercare in un’emozione, in un rituale, in un dotto ragionamento, ma solo in un volto che ne diventa definitivo segno.  Per i saggi d’Oriente chiamati Magi, uomini appassionati di moniti celesti e caparbi nella loro sete di salvezza, la scoperta di questo mistero fu talmente travolgente che è scritto che fecero ritorno al loro paese per un’altra strada. Il paese, la terra, nell’accezione allegorica della Bibbia è sempre associato al desiderio: lo stupore per l’incontro con Cristo fu tale che tornarono al proprio desiderio per un’altra strada, iniziarono a desiderare diversamente.  Questo cambiamento del desiderio non è mai esito di uno sforzo ascetico o spirituale, ma dono che accade tutte le volte che siamo messi di fronte ad un’umanità strabordante, eccezionale. Quello che salva un matrimonio, che fa entrare in un dolore, che accompagna nell’ora della morte – o che semplicemente fa stare di fronte a se stessi – è l’umanità di un altro in cui risplende la salvezza e che resuscita in me il desiderio di amare, di dar credito e di sperare.  Anche per questo l’Epifania è una piccola Pasqua: dinnanzi all’umanità di quel bambino risorge il desiderio di vivere, di stare, di non mollare. Nel mondo secolarizzato di questo inizio millennio l’Epifania ha perso il suo mordente: è vista come una conclusione del Natale, una festa minore, anche un po’ malinconica. La situazione che stiamo attraversando, al contrario, rende questo giorno tremendamente necessario: accanto al vaccino per l’epidemia c’è bisogno di un altro vaccino, di qualcosa che ci immunizzi dal virus del nichilismo, dalla perdita del gusto del vivere.  Abbiamo bisogno di tornare a desiderare la vita, abbiamo bisogno di guardare in faccia – senza barare – il vuoto e lo sbigottimento che ci ha sorpreso in questi mesi per veder risorgere il gusto per l’esistenza. Questi mesi di distanza sono stati percepiti dai più come mesi di rifiuto, di abbandono, di solitudine: un’angoscia inconfessabile e collettiva spinge alle reazioni più diverse ed estreme. C’è chi nega, che chi esagera, c’è chi minimizza, c’è chi si ostina a spiegare e a mettere a posto ogni dato, ogni processo, ogni numero. Ma tutti devono fare i conti con questo senso di rottura rispetto al mondo in cui si è sempre vissuto: una rottura che ha segnato i ragazzi, i rapporti, gli amori, le amicizie. C’è gente che non sa se potrà mai incontrare la persona della propria vita perché le occasioni sociali sono drasticamente diminuite, ci sono altri che si riempiono di cibo, di serie tv, di alcool, di giochi online, implementando i tristi cimiteri dell’amore che sono le applicazioni di dating e le percentuali sempre in crescita della vendita di psicofarmaci o di ansiolitici: tutti abbiamo davvero bisogno di un’Epifania, di un umano che ci esploda davanti e ci faccia ritornare la voglia di esserci, di non arrenderci, di ripartire.  Abbiamo ormai riposto nelle scatole le decorazioni natalizie, le luci ed i festoni, ma non ci deve assalire la malinconia del tempo che passa, bensì sorprendere la gioia di Uno che viene, che è venuto, e che fa guardare i volti cari di sempre col desiderio che per tutti possa sempre accadere una buona Epifania. Anche se per il calendario il 6 gennaio è ormai archiviato. L’Epifania del desiderio, certamente, ma soprattutto l’Epifania di chi ha visto le stelle e che non vuole più tornare a dormire, ma soltanto ricominciare a salire più in alto, più in profondità. Per vedere e per capire. E magari evitare le stucchevoli diatribe di Palazzo, tra una crisi infinita, schermaglie ripetute e pressochè identiche ed un bene comune sempre più distante nei fatti, oltre che nei pensieri.