Editoriali

La precarietà, un valore

Abbiamo tutti, mi sembra, un gran bisogno di buone notizie. Lo sappiamo bene noi che ogni settimana confezioniamo un’edizione cartacea il più possibile completa ed interessante per regalare una preziosa compagnia ai nostri numerosi lettori, costretti a casa in questo clima di clausura forzata. Il sentimento dominante, il «virus» che si percepisce aleggiare nell’aria ancor più forte del Covid-19, nonostante il clima di indubbia corresponsabilità civile, la consapevolezza che le strutture mediche stanno dando il meglio, meritando l’ammirazione di tutti, è la nuova percezione di precarietà che all’improvviso è entrata da padrona nelle vite dei singoli come dei meccanismi economici, sociali, statali, a livello nazionale e, di ora in ora, internazionale. È questa precarietà a tagliarci le gambe e a non farci intravedere uno straccio di prospettiva. Il nostro dovere civico in questi tempi di emergenza Coronavirus è indubbiamente rispettare tutte le precauzioni e le regole stabilite per rallentare la diffusione del contagio. Ma anche quello di non farsi prendere dal panico e mantenere lo sguardo sicuro verso l’orizzonte, speriamo non molto distante nel tempo, nell’attesa che l’emergenza sia davvero passata. Ma una buona notizia c’è: la si è vista e la si vede circolare, sui media e sui social, anche sul nostro cartaceo, dove la misura della sua amplificazione spontanea, ci parla della sua vitalità. La si vede nel numero di riflessioni, testimonianze di santi di ieri e di oggi, brani di autori letterari che molti hanno riscoperto per sé e offerto agli altri. In sintesi, la buona notizia è che questa precarietà – per secoli bagaglio di ogni essere umano in rapporto con il Creatore, ma dall’età dell’Illuminismo e del Positivismo sempre più nascosta ed esorcizzata – può trasformarsi in realtà in un potente strumento a nostra disposizione, come persone e come società. Questa nostra imprevista precarietà, in primo luogo, può abilitarci a vedere e comprendere un po’ di più, sulla base della nostra nuova, pur minimale, esperienza, ciò che finora guardavamo a sazietà in televisione e sulla stampa – catastrofi umanitarie, crisi, massacri, conflitti in ogni regione del mondo, dall’Asia all’Africa, dall’America latina al Medio Oriente – elaborando tutti questi fatti attraverso il filtro di un’indifferenza generata dalla sicurezza che, tanto, queste cose da noi non succedono e non succederanno mai. «Sono uomo e tutto ciò che è umano mi interessa»: la frase di Terenzio, ripresa nel tempo da tante culture alle più diverse latitudini, forse può tornare a costituire il tessuto di una solidarietà che, pur praticata oggi da tanti, stenta a farsi mentalità, cultura. È questa, probabilmente, la conoscenza di cui ha parlato proprio in questi giorni il presidente Mattarella, affermando: «La conoscenza aiuta la responsabilità e costituisce un forte antidoto a paure irrazionali e immotivate che inducono a comportamenti senza ragione e senza beneficio, come avviene talvolta anche in questi giorni». Negli anni ’20 lo scrittore Michail Bulgakov scrisse due racconti sul tema delle manipolazioni irresponsabili della natura da parte dell’uomo: nell’uno assistiamo a un catastrofico tentativo di rimediare a una moria di polli che rischia di mettere a repentaglio il prestigio del regime sovietico agli occhi delle potenze straniere; nell’altro, a un agghiacciante esperimento, messo a punto per trovare la formula dell’eterna giovinezza, che si trasforma nella creazione di un mostro. Ma la vera degenerazione – in entrambi i casi – non è causata dalla scienza (che, anzi, fa il possibile per scongiurarla avvertendo i propri errori e la propria precarietà), bensì dal «virus sociale» che Bulgakov individua nell’individualismo e nell’irresponsabilità incentivati da un’ideologia che ha smarrito il senso dell’uomo. «Che cos’è questa sua disorganizzazione? Una vecchia con la gruccia? Una strega che ha rotto tutti i vetri, ha spento tutte le lampade? … Il problema sta nelle teste!». E a scongiurare la catastrofe è il «Deus frigoris ex machina», cioè un «gelo inaudito» calato improvvisamente sulla Russia nella notte, che uccide tutti i mostri che stanno distruggendo il Paese – creature sconsideratamente generate dai funzionari del partito nel loro delirio di onnipotenza. Insomma, un ritorno all’uomo, alla sua precarietà – vegliata da una Presenza imprevedibile e provvidenziale. La precarietà, in fondo, è il rischio che ci assumiamo in ogni rapporto, dove non c’è nulla di scontato senza un nuovo inizio, giorno per giorno. E, viceversa, nel rapporto così vissuto – a maggior ragione, con noi stessi e con Dio – possiamo trovare la nostra sicurezza. Come scriveva in tempi non sospetti, il filosofo russo Vladimir Bibichin, a proposito delle divisioni createsi nel mondo: «Nessuno verrà in nostro aiuto se formuliamo progetti esclusivamente temporali, mentre per i fini eterni Dio verrà in nostro aiuto. La situazione reale del mondo, per quanto solida possa sembrare, non può essere il fondamento della nostra sicurezza. L’uomo vecchio continua a pensare in termini di organizzazioni, di autorità, di gruppi di pressione. Ma il mondo è segretamente governato da Colui che sa convertire il male in bene; se così non fosse, la sua stessa esistenza sarebbe risultata impossibile già da molto tempo». Uno spiraglio, un’uscita dal tunnel, un refolo di luce. Eppure, guardando al concreto, da questa emergenza possono nascere grandi opportunità. Sottolineiamo da tempo l’importanza dello smart work ai fini della conciliazione lavoro-famiglia e della sostenibilità ambientale. In università, per esempio, è possibile in questo periodo di emergenza sperimentare la didattica online. Gli strumenti informatici per realizzarla sono facilmente disponibili in rete. Tutti gli studenti hanno un cellulare e possono dunque collegarsi e seguire online la lezione del docente. Si può fare, anche oltre la crisi, molto più smart work in tutti quei settori legati ai servizi dove non è sempre necessario l’incontro fisico con il cliente o l’utente. Nel momento dell’emergenza aumenta, poi, la coesione d’intenti tra le forze politiche di governo e persino la convergenza con le opposizioni e si trova il coraggio per prendere decisioni importanti che si faceva fatica a realizzare nell’ordinario. Ci sono giorni terribili in montagna pieni di nebbia e tormente nei quali le nevicate sono di solito intense. Appena la perturbazione cessa e arriva una giornata di sole pieno con celi tersi, possiamo contemplare un paesaggio incantato pieno di alberi carichi di neve. Siamo dentro quest’emergenza e questa tormenta, ma dobbiamo tenere gli occhi fissi al giorno dopo. Quello in cui ci riapproprieremo della nostra libertà piena con ancora maggiore gioia di vivere. Possiamo vivere già adesso dentro quest’attesa carica di speranza. E renderla utile. Imparando ad osservare fin da adesso le notizie buone, che ci sono, eccome…