Editoriali

Ma la scuola dove va?

Quando si parla di Cenerentola non c’è solo il riferimento favolistico ad una storia che ha fatto il giro del mondo, ma spesso si tratta di concentrare l’attenzione su situazioni o soggetti tenuti in scarsa considerazione. Come la scuola. Tanto che un ministro decide di dimettersi, perché non ascoltato dopo che aveva chiesto all’inizio del suo mandato tre miliardi. Ma nessuno gli ha chiesto: per farci cosa. Il “che cosa” sparisce dall’orizzonte, si tratta solo di finanziare l’esistente. E questo esistente palesemente non funziona. La scuola come agenzia educativa perde colpi. Molti docenti confessano addirittura di cominciare ad avere la paura fisica di entrare nei plessi, dove il “gruppo del pari” si organizza secondo logiche di clan in cui il bullismo diventa pratica diffusa. Ed è solo un esempio. Adesso si assiste ad un po’ di virtuose declamazioni retoriche, di discorsi di cerimonie, di impegni mai rispettati, e la scuola tornerà ad essere, da destra come da sinistra, con uguale insipienza, l’ultima voce di un’agenda politica del tutto indifferente alle sorti dell’istruzione. Una politica che non sia schiacciata sul politicismo del presente dovrebbe comprendere che quella scolastica è un’emergenza nazionale, che il senso di sfiducia e di frustrazione che si addensa attorno alla scuola, all’università e alla ricerca è una mina che esplode intaccando l’idea stessa di una democrazia moderna. Questa scuola sta franando – in questo cambio d’epoca che riguarda tante cose – sotto la sua impotenza. Sì, ingessata ad una idea di cultura come enciclopedia, come passaggio di competenze da parte di funzionari di Stato a cittadini, garantita nella sua esistenza da processi burocratici sempre più surreali e pesanti, sta trascinando via, insieme alle buone intenzioni di tanta brava gente che vi lavora, la testa e l’anima dei nostri ragazzi. Ci sono i segni fatali di una rovina, magari ammantata di sigle burocratiche. Rovina di una idea, che diventa rovina di processi, rovina di luoghi e rovina di anime che non son più educate, ma istruite, e perciò male istruite. La scuola di Stato ce l’ha fatta: ha eliminato dai nostri ragazzi quasi ogni elemento di educazione estetica e spirituale. Con l’assunzione del modello enciclopedico per pensare e trasmettere cultura, come fosse l’unico modello possibile, le scuole hanno rifilato piccoli e sbilenchi tomi di nozioni ai nostri giovani, hanno di fatto abdicato al compito educativo, e hanno lasciato incolto il terreno della crescita estetica e spirituale. Lo hanno fatto senza violenze, con una specie di delicatezza, ammantando questa amputazione delle anime con parole suasive di metodologie e buone intenzioni: ad esempio riducendo arte e letteratura a 'storia' delle medesime, ed escludendo una gran parte di ragazzi dall’incontro con l’arte. Lo hanno fatto con la delicatezza, diciamo così, di prevedere surreali presenze dell’ora di 'religione' ai limiti di ogni orario quotidiano, come se fosse un’ora di ginnastica invece che una dimensione dello sguardo verso tutta la realtà. Lo hanno fatto creando progetti dai nomi fascinosi, e vezzeggiando i docenti con nomi paraccademici tipo 'dipartimento' mentre vengono trattati da piccoli burocrati. Questa scuola sta finendo, sta avvitandosi, sta esplodendo e non per colpa della società o delle famiglie come dicono irresponsabilmente coloro che tengono i nostri ragazzi in aula sei-sette ore al giorno per circa 200 giorni all’anno. Sta finendo la scuola perché il suo modello di fondo è sbagliato, e questo cambio d’epoca lo sta dimostrando in molti modi. Nessuna cura dei talenti individuali, come invece insegna il Vangelo, in quella eversiva parabola dei talenti che nessuno racconta tra i banchi e che i creatori dei 'talent' hanno pervertito a loro tornaconto con show che i ragazzi guardano con la fame di chi vorrebbe che qualcuno del loro talento si curasse adeguatamente, senza scorciatoie e banalizzazioni.  E invece: formazione media e spesso inutile a tutti, ossessione del lavoro invece che cura della personalità per trovare le proprie strade, 'scuolizzazione' di troppi argomenti invece che favorire l’incontro tra ragazzi e maestri o battistrada adulti nella società. E conseguente crescita di nevrosi e insofferenze. Occorre passare dalla scuola delle enciclopedie alla scuola della educazione e del talento. Ci sono molti che lo chiedono e lo vorrebbero, molti che ci provano, nelle maglie strette e totalitarie di questo sistema. Le dimissioni del ministro rappresentano l’ennesima cartina di tornasole sulla incapacità delle istituzioni e della classe politica di saper affrontare, con il giusto senso di responsabilità, i problemi del nostro Paese. Non abbiamo bisogno di gesti eclatanti che in realtà aggravano i problemi invece di affrontarli e risolverli. Questa è piuttosto la certificazione di un fallimento, la mancanza di una strategia feconda e concreta. La speranza, forse remota, è che queste dimissioni non siano solo l’ennesimo giro di poltrone tra i partiti, ma servano ad aprire finalmente una discussione vera sulle condizioni in cui versa il nostro sistema scolastico.  La scuola italiana è oggi lo specchio della perenne emergenza nel nostro Paese, con edifici pubblici che cadono a pezzi, senza palestre, laboratori didattici, strumenti digitali, dove manca persino la carta igienica e dove i lavoratori fanno il loro dovere con grandi sacrifici e senso di responsabilità, supplendo alla latitanza delle istituzioni, ai ritardi e alle omissioni della classe politica. Ci vogliono scelte forti di investimento, selezionare più attentamente la spesa, intervenire sui forti squilibri a livello sociale e territoriale che determinano l’abbandono scolastico, le diseguaglianze, la disparità negli esiti formativi. E questo significa anche sostenere la professionalità dei docenti, stanziare le risorse adeguate per rinnovare il contratto, con una complessiva rivalutazione economica del lavoro in tutti i settori della conoscenza.  O la scuola è un bene comune che appartiene all’intero Paese, oppure se manca questa coscienza, sarà come iscriversi ad uno svago di ruolo e far di memoria per ricordarsi gli innumerevoli ministri dell’istruzione che si sono susseguiti in un vorticoso valzer e che non hanno fatto altro che cambiare sistematicamente quanto già fatto dal predecessore. Chi si ricorda la lunga lista di questi anni per arrivare all’ultima casella del gioco?