Editoriali

Cercare l'essenziale

Non c’è dubbio che i primi a pagare i frutti della guerra siano i più indifesi e i più deboli. Parte da questo assunto il messaggio del Papa per la VI Giornata mondiale dei poveri che sarà celebrata il prossimo 13 novembre. Al centro l’invito a tenere lo sguardo su Gesù Cristo che, come recita il titolo, «si è fatto povero per voi».  E i destinatari di quest’abbassamento sono innanzitutto quelli che oggi subiscono in modo più grave, dopo la pandemia le conseguenze del «diretto intervento di una “superpotenza”, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli». E allora si ripetono scene che si pensava di poter dimenticare: «deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità». Di fronte a questo scenario il credente è invitato a tenere lo sguardo fisso su Gesù, il quale «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Significa, insieme alla preghiera, dare concretezza alla solidarietà, lasciando da parte la retorica per rimboccarsi le maniche, per farsi coinvolgere negli aiuti in modo diretto. Il rischio è infatti di cedere all’indifferenza o peggio, per «un eccessivo attaccamento al denaro» di restare «impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio». Un simile atteggiamento – accusa il Papa – impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri». Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare ad una visione della vita effimera e fallimentare. Al contrario invece sostenere chi è in difficoltà è un dovere del cristiano, e va realizzato senza comportamenti assistenzialistici, «come spesso accade» ma impegnandosi «perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto». Di qui l’urgenza di trovare nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali «concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli». L’esempio da imitare è Charles de Foucauld, l’espressione da fare nostra è di san Giovanni Crisostomo: «Se non puoi credere che la povertà ti faccia diventare ricco, pensa al Signore tuo e smetti di dubitare di questo. Se egli non fosse stato povero, tu non saresti ricco; questo è straordinario, che dalla povertà derivò abbondante ricchezza. Paolo intende qui con “ricchezze” la conoscenza della pietà, la purificazione dai peccati, la giustizia, la santificazione e altre mille cose buone che ci sono state date ora e sempre. Tutto ciò lo abbiamo grazie alla povertà». A prima vista sembra un gioco di parole, un trabocchetto per principianti dell’enigmistica. In realtà la differenza esiste, profonda, sostanziale. Perché un conto è nascere e crescere povero, un altro è diventarlo, fosse pure per scelta. Cambia l’approccio, il contesto direbbero gli esperti, la voglia di rivalsa dei diversi derubati. E poi bisogna intendersi su cosa intendiamo per povertà, se la miseria materiale o la condizione di chi ha perso la stima per se stesso, sprofondando in una cupa solitudine, anticamera della disperazione. Tra i tanti punti offerti dal Papa forse il più suggestivo riguarda proprio le mille diversità in cui può declinarsi la stessa situazione di vita.  ?Certo, a dare titolo è la denuncia delle tantissime persone derubate di tutto dalla guerra, è la condanna della «superpotenza che intende imporre la volontà contro il principio di autodeterminazione dei popoli», però lo sviluppo di questi preamboli chiama in causa la solidarietà concreta, quella fatta di condivisione, anche nel poco, perché chi ha meno sia messo in grado di stare al mondo con dignità. Davanti ai poveri, infatti, vanno bene i bei discorsi, ma prima ancora occorre rimboccarsi le maniche, farsi coinvolgere, mettere in campo, se credenti, la preghiera e la fratellanza, cioè gli ingredienti che realizzano la comunità. Non solo questione di denaro, dunque, pur importante e necessario, ma anche di compassione, vicinanza o, per dirla con il Pontefice, di «cultura dell’incontro».??Allo stesso modo, non sono unicamente i soldi a definire il gradino della scala sociale su cui ci troviamo. Per spiegare meglio il concetto, il Papa ricorre a una suggestione che sembra richiamare la differenza che in economia distingue il debito «buono» da quello «cattivo». Allo stesso modo, osserva Francesco, esiste una povertà che uccide, figlia «dello sfruttamento, della violenza, della distribuzione ingiusta delle risorse». E dall’altra parte c’è una povertà che spinge ad alleggerirsi delle zavorre inutili e a puntare sull’essenziale, liberandoci.??Si tratta allora di capire quali sono i pesi che rallentano il nostro cammino verso una piena realizzazione di noi stessi. La povertà può diventare una scelta, dunque, un bisogno, un invito a riconoscere e quindi a ricercare solo il necessario, per il corpo e per l’anima.?? Ricchi di niente, verrebbe voglia di dire parafrasando il poeta Tagore, nel senso che il servizio può dare più felicità del possesso e il pensare al plurale ci completa meglio del rinchiudersi nel proprio particolare. Come in un paradosso ci muoviamo nel recinto dei significati opposti che si possono dare allo stesso concetto. La parola e il modo di pronunciarla sono i medesimi ma disegnano realtà agli antipodi, come la libertà e la schiavitù.??La povertà che uccide si chiama miseria ed è un confino spirituale oltreché materiale che toglie speranza, che annulla le vie d’uscita, che sconta il peso dell’ingiustizia. Precipitare dentro, rifletteva l’abbé Pierre, significa non poter essere 'uomini', venire privati della dignità, non aver voce sul proprio futuro. Il contrario della povertà libera e liberante che vuol dire invece rifiutare di poter essere felici senza gli altri. Una scelta di condivisione che permette a tutti di essere persone per poi tradursi in presenza, in offerta. E si dona non solo il superfluo, l’elemosina, ma il proprio tempo, se stessi. Cercare l’essenziale, come suggerisce il Papa nel messaggio, consiste allora nello spendersi per gli altri, impegnandosi a mettere, dove non c’è, l’amore vero e gratuito, «che nessuno può rubarci». E che, come in un gioco di prestigio, come in una formula matematica al contrario, si moltiplica nella divisione, rende ricchi impoverendoci.

Carlo Cammoranesi