Editoriali

I tanti volti della povertà

La Giornata mondiale dei poveri è un «segno concreto» del Giubileo straordinario della misericordia del 2016. Così l’ha definita Papa Francesco nella Lettera apostolica “Misericordia et misera” a conclusione dell’Anno Santo con cui aveva istituito l’appuntamento. Quella del 2019 è stata la terza edizione della Giornata che intende aiutare le comunità, ogni singola persona a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando “Lazzaro giace alla porta della nostra casa, non potrà esserci giustizia, né pace sociale”, ripete ancora il Papa. A fine novembre, sabato 30 ci sarà poi la Colletta Alimentare, tradizionale appuntamento che rappresenta un po’ l’ideale prosecuzione della giornata mondiale dei poveri. Ecco, si torna a parlare di povertà, a ridosso di questo forte impegno voluto dalla Chiesa, abitualmente rimossa senza troppi sensi di colpa, o, come in questi ultimi tempi a proposito del reddito di cittadinanza, improvvisamente "scoperta" e contata a milioni. Concetti come povertà assoluta e povertà relativa sono usciti per l’occasione dai manuali statistici e finiti a rimbalzare in dibattiti politici e talk show. Si parla evidentemente di dignità e di esigibilità dei diritti, non di paternalistica concessione. Cosa giusta e buona, naturalmente, ma che solleva una serie di questioni che forse è utile ricordare ed evidenziare perché la nostra attenzione sia costruttiva. Accade a volte nel dibattito pubblico che si scateni una sorta di paradossale gara tra poveri: è più bisognoso quello che sfanga la vita con una misera pensione sociale o la persona affetta da una disabilità? Necessita di attenzioni istituzionali più la madre abbandonata che cerca di tirar su i figli o l’anziana rimasta sola nella sua casa ormai troppo grande? Ebbene, dovremmo evitare di usare categorie così schematiche, per classificare le diverse condizioni umane, spesso superate dallo stesso mutamento che ha trasformato profondamente i connotati della società a cui eravamo abituati. Gerarchizzare le fragilità può portare a scelte poco oculate, non fosse altro perché le povertà sono frequentemente multiple nello stesso individuo. L’uomo che si infila furtivo in una sala slot fin dal mattino assomma in sé (ce lo dicono le ricerche realizzate su questo tema) molto probabilmente una povertà del capitale culturale (con un titolo di studio che non va oltre la licenza media), una povertà economica (perché i suoi datori di lavoro hanno "dimenticato" di versargli i contributi) e una povertà di relazioni (perché magari la vita matrimoniale non è più felice da molto tempo). ?E’ bene ricordare che spesso la povertà è invisibile: oggi l’indebitamento delle famiglie per acquistare beni che sembravano irrinunciabili o che forse lo sono è purtroppo una piaga diffusa e l’indebitamento può trascinare con sé cattivi incontri (si pensi al cappio dell’usura). Il fatto è che il modello di sviluppo basato sul patto sotteso tra consumo e finanziarizzazione ha reso legioni di persone persuase di dover accedere a beni (l’auto di alta gamma o l’abbigliamento griffato) che non si potevano assolutamente permettere. E, dall’altra parte, ha indotto una fascia ampia di popolazione a ricorrere a finanziarie e banche per acquistare quell’appartamento che magari avevano abitato come affittuari. E così si sono ritrovati a combattere con logiche che non erano in grado di padroneggiare o di gestire. Ma non dimentichiamo che emerge con sempre più consistenza una larga fetta di povertà che si colloca nella fascia giovanile: occupazione zero, prospettive nulle, definizioni claustrofobiche, da neet a bamboccioni, da resilienti e precari a cervelli in fuga. ?Nei nostri tempi induriti, la povertà non può essere più rappresentata da una fanciullina infreddolita che chiede l’elemosina con un abitino liso addosso o come il misero coperto di stracci che sussurra con lo sguardo buono "fate la carità" sulla porta della Chiesa; queste sono immagini dolci, amabili, da illustrazione ottocentesca di un buon libro di racconti di Natale. No, la povertà vera delle nostre città è forse anche questo, ma soprattutto è un’altra cosa: sono adulti schiantati da un divorzio che ha lasciato impoveriti sia lui sia lei; è un’anziana indurita e respingente, rintanata nella sua casa dove cova antichi rancori; è l’ex imprenditore che cerca consolazione nell’alcool e si rifiuta di lavarsi quando viene avvicinato da un buon samaritano; è l’immigrato irregolare che ruba qui e là per nutrirsi, ma stanco delle burocrazie interminabili abbandona il centro di accoglienza per mantenere la condizione di totale libertà; è lo psicotico che ci guarda storto seguito poco e male dal Dipartimento di salute mentale; è il trentenne smanioso e frustrato che non vuole più pesare sulla piccola pensione della mamma, ma che riesce a collezionare solo porte sbattute in faccia.?La faccia della povertà può essere "antipatica", ostile, sfuggente. L’espressione del viso di un povero dei nostri tempi può essere dura o inquietante. Può essere cocciutamente muto; oppure può gridare. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» ci ricorda il Salmo. Gli operatori della Caritas ci dicono che la cosa di cui hanno più bisogno i poveri è proprio questa: che qualcuno li ascolti e restituisca loro la dignità di essere umano. Per questo il Papa, nell’insistenza ad una preoccupazione oggettiva, ci ammonisce che “la promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all'annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica”. Così “l’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale, senza alcun influsso sulla vita sociale”. Nel messaggio della giornata mondiale il Papa lo ribadisce come possibilità di uscita, come chiave di volta, senza restare ingabbiati in uno sfogo labirintico che non trova sbocchi rigeneranti, ma solo rabbia ed impotenza. Alla fine si rivolge poi ai “tanti volontari, ai quali va spesso il merito di aver intuito per primi l’importanza di questa attenzione ai poveri”, chiedendo “di crescere nella loro dedizione”. Quei volontari che ne riprendono il testimone e sabato 30 novembre saranno davanti ai supermercati di tutta Italia per la giornata della Colletta Alimentare. Mettersi in gioco, dare il proprio tempo, accettare la sfida dell’altro. Vale a dire riconoscere la propria mendicanza dentro un’opulenza che non ci basta mai.