Editoriali

La ricchezza della disabilità

I successi di Tokyo, le difficoltà e durezze quotidiane, la promozione umana, i successi italiani alle Paralimpiadi mostrano ancora una volta che un difetto, una fragilità, una debolezza che si vorrebbe non avere e nascondere può essere accettata come una condizione umana differente, ma non meno piena di dignità e di forza. Tanto che quel limite può persino diventare il perno che consente di arrivare imprevedibilmente ad una vita piena. E di successo, appunto. «Quando sono debole, è allora che sono forte», diceva san Paolo e quanto è avvenuto a Tokyo ne è stata l’ennesima conferma. In queste circostanze è normale parlare di storie che fanno della fragilità un punto di forza e bisogna dire che gli atleti italiani, con un record di medaglie, hanno davvero esaltato tale aspetto. Le storie dei nostri campioni sarebbero da raccontare tutte. Non solo quelle di chi ha ottenuto una medaglia, ma anche di chi non ce l’ha fatta e comunque continua a dedicarsi allo sport. Per chi guarda da casa non è solo uno spettacolo edificante, è anche una lezione morale che non permette più di trovare scuse.  Abbiamo finito la manifestazione con l’incredibile podio tutto tricolore e femminile nei 100 metri di Sabatini, Caironi e Contrafatto che dicono da sole il potere di rinascita dello sport. Non possiamo dimenticare però Bebe Vio, che ha vinto due medaglie e circa 150 giorni prima usciva da un ospedale dopo essere stata aggredita da un pericoloso batterio. C’è Assunta Legnante, che vince l’argento e batte il record europeo nel lancio del disco, facendo qualcosa di straordinario per una persona diventata non vedente in età adulta, quando era all’apice della carriera sportiva 'normale': le proposero le paralimpiadi e le sembrò una follia lanciare il disco con quella menomazione, ma c’è riuscita. Ha imparato ad ascoltare il suo corpo che aveva appreso gli automatismi del lancio ed ecco la storia di questo argento meraviglioso.  Ci sono i grandi successi nel ciclismo. E qui, a dare luce alla performance straordinaria dei nostri atleti, c’è il grande assente, Alex Zanardi. Che, ancora in coma dopo il gravissimo incidente di tempo fa, è comunque simbolo di resilienza, ottimismo, sorriso, forza. E in questa disciplina anche Fabriano si è ritagliato il suo spazio di gloria con l’argento di Giorgio Farroni. Le Paralimpiadi sono anche un’occasione per ricordare che la cura e l’assistenza alle persone disabili è un problema enorme. I bisogni sono infiniti, eppure pare che nel nostro Paese le risorse per persone con bisogni speciali siano sempre meno. La cosa più grave è che spessissimo la famiglia viene lasciata sola, oppure, nell’intento di 'normalizzare' tutto, si dipinge la disabilità solo come «un’opportunità».  Non che non lo sia, ma non bisogna tralasciare di dire che la ricchezza che la disabilità porta con sé comporta anche dolori, angosce e spese enormi che un nucleo familiare isolato non può e non deve affrontare da solo. Le Paralimpiadi servono per ricordare che lo Stato, la società, devono intervenire per affiancare e aiutare. Fare gioco di squadra, insomma. «Ogni uomo guardi un altro uomo dall’alto in basso solamente quando deve aiutarlo a sollevarsi». Lo disse Papa Francesco a Santa Marta tempo fa e riassume un’enciclopedia. In quell’occasione parlava della parabola del Buon Samaritano e ne emergeva un programma di vita che non vale solo per i casi estremi come quelli delle persone disabili, ma è vero ogni qual volta siamo chiamati ad abitare la solitudine, anche silenziosa, di chi ci passa accanto e magari non urla perché se ne vergogna.  E se ne vergogna perché è intrappolato nella disabilità peggiore di tutte: la mancanza di stima di sé, la convinzione della propria inutilità anzi di essere solo un peso per gli altri. Allora è il momento di accorgersi on the road, strada facendo, di chi ha bisogno di noi. Significa prenderselo in carico e portarlo in una locanda: ovvero attivare risorse umane (il locandiere), di spazio (la locanda), metterci qualche soldino, e infine rimanere lì tutta la notte garantendo poi un ritorno.  Al di là delle medaglie e del clamore mediatico, queste vittoriose Paralimpiadi possono diventare un’importante occasione di crescita umana e culturale per il Paese. Sarà così se nasceranno tanti progetti di promozione umana che spessissimo prendono spunto proprio, non dalla ferita fisica fattuale, ma dal far recuperare alla persona interessata e alla sua famiglia la stima. Di sé e della società. «Arrendersi non è un’opzione», una frase fulminante e bellissima, credibile se pronunciata da Carlotta Gilli, fresca medaglia d’oro ai Giochi paralimpici e affetta della Malattia di Stargardt (forma di distrofia ereditaria della macula) che le ha ridotto a un decimo la vista.?Noi economisti civili lo diciamo da tempo. Dobbiamo affrontare la vita come nei popolari giochi di carte che tutti conosciamo: scopa, briscola, tressette... Non siamo noi a dare le carte, e quando le riceviamo sappiamo che dobbiamo fare il nostro gioco nel modo migliore possibile. Come dicono anche i dati empirici il segreto della felicità, per una vita soddisfacente e ricca di senso è lo spirito dell’atleta paralimpico. Che non è paralizzato dal dolore per il proprio limite e vincolo, ma fa leva su quel limite per lanciarsi in avanti e darsi l’obiettivo di fare il massimo possibile ritagliandosi una sfida adatta alla propria situazione.?Si tratta di qualcosa di più che semplicemente abbassare l’asticella delle aspettative per evitare che esse siano frustranti e irrealizzabili come la volpe verso l’uva nella famosa favola di Esopo.?Gli atleti paralimpici non sono degli sfortunati che noi 'sani' possiamo compatire e osservare con la soddisfazione di essere diversi. Nella vita siamo tutti atleti paralimpici perché con il passare degli anni gli ostacoli e i limiti sono destinati ad aumentare progressivamente. Se per un ragazzo nelle gare scolastiche la sfida è il tempo di una corsa campestre per un novantenne è terminare il giro del palazzo ogni giorno per tenersi in forma sotto braccio a un o a una badante.?Non chiudiamo il sipario dell’attenzione ora che le luci si sono spente sulle gare di Tokyo. Lo sport, si dice, è una bella metafora della vita che trasforma il conflitto bellico in competizione con regole, e fa capire che con sacrifici e impegno è possibile dare pienezza alla nostra 'libertà per' e alla 'libertà da' anche ponendo limiti a quella 'libertà di' fare qualcosa che un sottoprodotto della cultura contemporanea considera l’unica possibile. Lo sport paralimpico è una metafora ancora più bella e pura dello sport agonistico dei 'sani'. Tutti i media ci raccontino per davvero queste storie. E noi mettiamoci in ascolto, oltre che contribuire anche noi a raccontarle. 

Carlo Cammoranesi