Editoriali

Ma cosa fanno i genitori?

Ma che genitori sono quelli di uno degli stupratori di Viterbo che esortavano perentoriamente il suo figlio, prima che fosse scoperto, a liberarsi dal video atroce che lui stesso aveva girato per vantarsi di aver seviziato una donna? O ancora quelli degli aguzzini di Manduria, la banda di mascalzoni che martirizzava un povero sventurato, che non si vergognano neppure un po’ per aver coperto le gesta di quei figli teppisti, frutto della desolazione di famiglie inesistenti, prigioniere dell’ignoranza, nel vuoto pneumatico privo di ogni cultura, di ogni sensibilità, di ogni decenza? Sono domande pesanti che vanno ancora più a fondo in contesto che tende a chiudere ogni prospettiva di speranza e di bene. Un tunnel oscuro come la pece, infuocato come l’inferno. Queste sconosciute: speranza e bene. Che però vogliamo riabbracciare con tutte le forze, di fronte a scenari di padri complici di ogni efferatezza, responsabili di ferocia che anestetizzano le menti deboli di figli che hanno perso ogni cognizione della realtà, non sanno cosa sia il male perché nessuno ha insegnato loro cosa fosse. Non è la pietas paterna o materna, ovvero del capo branco che vuole proteggere il cucciolo (e qui gli animali ci offrono un’immagine sicuramente più tenera e, permettetemi, più…umana) ad aver suggerito quell’invito a cancellare le prove di una crudeltà spregevole. Non è l’affetto, l’istinto primitivo a difendere un pargolo, neppure troppo piccolo, a cercare goffamente di metterlo in salvo e sottrarlo ai rigori della legge violata; un sentimento comprensibile, non giustificabile, comprensibile in chi forse ha il cuore spezzato per le malefatte di un figlio, ma è straziato dall’idea di una sua punizione troppo severa. Ma nel caso di Viterbo è stato il complice di una banda a parlare, non un padre che vuole proteggere il figlio. Uno che nemmeno si rende conto dell’enormità commessa dal suo ragazzo. Prevale oggi la frase del tipo: “butta subito via quel cellulare”, anziché quella: “figlio mio cosa hai fatto? Che ho fatto io per aver cresciuto un farabutto come te?”. Come siamo distanti, che mondi opposti! Eppure quel livello di preoccupazione, quell’espressione di rabbia ed amarezza l’abbiamo toccata con mano, vissuta e sperimentata. Adesso è letteralmente sparita. Meglio individuare una strada affinchè lo stupratore la faccia franca e non si renda conto dell’orrore di cui si è reso responsabile. Un padre così come lo si può chiamare? Noi, tutti noi, cosa stiamo diventando? Basta con il fare i sindacalisti dei propri figli. O di difenderli da un professore che si è permesso di dare un brutto voto a scuola, oppure dal troppo peso dei compiti a casa. Spariscono le famiglie, si sgretolano nel loro valore più profondo, senza più un’accezione educativa, senza un afflato di grazia. Cosa fanno oggi, fantasmi di una società imbarbarita? Di fronte all’assalto violento di Manduria nei confronti di una povera vittima, loro, i genitori, assistono intontiti alle gesta disgustose di rampolli decerebrati che sghignazzavano mentre colpivano un uomo inerme e fragile. Quelle famiglie corresponsabili del bullismo dei propri figli vigliacchi possono essere lo specchio deformato di una malattia diffusa, di figure inesistenti, non assenti, che si limitano a fare il palo, mentre i loro eredi si abbandonano all’ordinaria follia della prepotenza impunita. E la scuola diventa ormai il terreno fertile nell’alimentare questa pericolosa anarchia… Intanto la Camera a Roma ha messo fuorilegge le note sul registro per i bambini ed altre sanzioni comminate dagli insegnanti alle Elementari, relitto di un regio decreto del 1928. C’è chi considera la decisione di abolire le note come un soprassalto di buonismo montessoriano, quando forse invece sembra più un’ipotesi presa per proteggere gli insegnanti dalle contronote dei genitori. Sappiamo cosa ci narrano le cronache odierne tra maestre costrette ad andare in giro mascherate per non incorrere in qualche “vendetta” da parte dei parenti del bulletto di turno cui avevano fatto un’osservazione, magari attentando alla sensibilità dell’erede e al prestigio della dinastia e codardie varie. Ma cosa resta allora agli insegnanti per intervenire nei casi estremi in cui la disciplina e l’educazione siano fuori controllo? Tutto, dicono, nulla cambia, perché le misure, come le stesse note, devono essere condivise attraverso un patto educativo di corresponsabilità che regola i rapporti tra studenti e professori, tra famiglia e scuola. Ma non è lo stesso e lo sappiamo bene. Ecco perché il prof che sanziona la marachella risulta solo un provocatore e il genitore del teppistello un nobile paladino. E se le note le girassimo proprio a mamma e papà? Dall’ambito scolastico a quello politico dunque il passo è breve. Nel dopoguerra eravamo un Paese molto più povero, però relativamente grande in un mondo piccolo. Oggi siamo un Paese piccolo in un mondo immenso. Un tempo chiamavano la nostra Italia, e forse anche adesso, come quel formaggio, sì, il Belpaese, perché all’estero siamo sempre stata terra di cose belle e buone, al di là delle demagogie e delle ipocrisie, tra arte, cibo, cultura cristiana e letteratura. Ebbene cominciamo dai banchi, a rigenerare una vita pubblica inquinata da mafie e corruzione, da violenze e soprusi ed a trasmettere valori solidi ad una generazione diseducata dalla rete, ritrovando la consapevolezza di quello che siamo, le nostre radici, di quello che abbiamo fatto e possiamo ancora fare. Perché non abbiamo finito di fare.