Editoriali

Educazione civica, ma per chi?

Meno male che si chiama educazione civica e non educazione alla cittadinanza. Si parla  del progetto di legge presentato dalla Lega, teso a introdurre appunto l’educazione civica come materia obbligatoria nelle scuole di ogni ordine a grado, minimo trentatré ore all’anno non aggiuntive, cioè sottratte agli altri insegnamenti, con verifiche e valutazioni alla fine dei cicli. Meno male,  perché le parole non sono neutre, hanno dietro una concezione: l’aggettivo civico è più dimesso, usuale e meno pretenzioso – in fondo fu Moro a introdurre questa materia nel 1958; cittadinanza invece è parola che può far venire l’orticaria, tanto è presuntuosa e ambigua. Infatti il termine, lanciato nella modernità dall’Enciclopedia di Diderot, contiene due valenze. Da un lato indica l’individuo in quanto emancipato dalla sudditanza e collocato nella sfera della libertà, gran bella cosa; dall’altro lato contiene  l’idea che è pur sempre lo Stato ad attribuirgli i diritti, pretendendo di esserne la fonte: infatti la voce dell’Enciclopedia specifica che non si dà cittadinanza a donne, bambini e altri soggetti cui lo Stato la neghi. E questo bello non è. In ogni caso, sempre meglio tenere a mente per precauzione il monito del filosofo cecoslovacco Vaclav Belohradsky: “Così potremmo sintetizzare l’essenza di ciò che ci minaccia: gli Stati si programmano i cittadini, le industrie i consumatori, le case editrici i lettori. Tutta la società un po’ alla volta diviene qualcosa che lo Stato si produce”.

Un altro principio di orticaria insorge al suono della parola educazione. La parola è troppo bella e importante, e non si capisce perché debba essere usata a prezzemolo nella stucchevole denominazione delle innumerevoli pseudo-materie che tanti soggetti vorrebbero introdurre: educazione sanitaria, sessuale, stradale, alimentare, all’ambiente, alla legalità, informatica, antibullistica, anti-cyber-bullistica, ai diritti, alla non discriminazione gender, e chi più ne ha più ne metta. Così si riproduce per frammentazione l’educazione alla Dewey, cioè la conduzione dell’individuo all’efficienza sociale. Salvo non riuscirci, perché la conoscenza dei termini e delle norme di una questione non sposta la persona di una virgola, e la predicazione dei valori idem. Tanto più in un contesto sociale e non di rado familiare che esalta valori non esattamente costituzionali quali il consumismo, la competizione esasperata, il guadagno rapido, l’esclusione del diverso. Matteo Salvini è ministro dell’Interno ed è mestiere suo occuparsi di ordine pubblico, anche nella scuola: ma quando spiega che l’educazione civica servirà a ristabilire nei ragazzi (e nei genitori) il rispetto per l’insegnante, probabilmente si illude.

C’è però da dire un’altra cosa. Questa tendenza a sovraccaricare la formazione civica e alla cittadinanza, e in fondo la scuola stessa, di compiti che riguardano praticamente tutte le sfere di vita del ragazzo, segnala – in maniera goffa quanto si vuole – che il grande problema della nostra società è educare i giovani. L’esigenza di un’educazione vera e intera, che evidentemente continua ad essere sempre più un’emergenza irrisolta.

Qui però l’orizzonte non può non allargarsi: simile obiettivo non si persegue formando il cittadino, ma la persona, che è qualcosina in più. La persona accoglie nozioni e valori per il tramite di una conoscenza affettiva e critica, in cui nozioni e valori sono ricompresi dentro un’esperienza presente. Sono fuochi da accendere e non vasi da riempire, come diceva Plutarco. Comunque dopo anni di oblio, è importante che la materia in oggetto torni ad essere una priorità nella scuola italiana e non importa che si stiano raccogliendo firme per un’altra proposta di legge. Conta l’impegno messo, conta aver creato i presupposti per una presa di coscienza. Si tratta di quell’impegno che serve nel sostenere l’educazione alle regole della convivenza, formazione vitale in un mondo sempre più articolato e complesso. Ora l’importante è non attizzare polemiche. Gli obiettivi sono simili: fornire agli studenti gli strumenti per partecipare in maniera consapevole alla vita democratica, per vincere quella “apatia alla democrazia” che, diceva Montesquieu, è “il peggior pericolo per il bene pubblico”. Nell’attesa di vedere approvata una delle leggi in campo, dovremmo cominciare con un primo impegno:  rafforzare da subito nelle scuole italiane gli spazi per l’educazione alla convivenza. Perché la promozione della convivenza è il cardine, ma anche lo studio della storia contemporanea e dell’architettura costituzionale e la valorizzazione dei progetti che aiutano gli studenti a comprendere i meccanismi della democrazia. Dalle elementari ai licei va raggiunta la consapevolezza che una lezione di educazione civica non è un’ora di serie B. Ma non è la panacea di ogni nefandezza nel tessuto sociale.

Per questo non c’è fretta di mostrare pollice alzato o pollice verso del progetto di legge: anche perché andrà a fare ingorgo con altri disegni depositati sulla stessa materia, e chi vivrà vedrà. La scuola di tutto ha bisogno meno che di continui interventi parziali e scombinati tra loro, quando non contraddittori. In mancanza di un disegno organico, ampiamente condiviso e quindi presumibilmente durevole, meglio aspettare tempi migliori e solidi, per il noto principio che l’è peggio il tacòn del buso, direbbero in Veneto. Ovvero peggio la toppa del buco, o il rimedio del danno. Egualmente, la didattica non ha bisogno di pseudo-materie macedonia con svolgimento moralistico, ma di materie dai precisi contorni scientifici e con contenuti il più possibile consolidati, e non dettati dall’aria che tira. Eppoi perdonateci, ma quando assisteremo nelle scuole a casi come quello recente di Chioggia, dove il vescovo della Diocesi è stato lasciato fuori in un istituto del Polesine perché ritenuta inopportuna la sua visita prenatalizia rappresentando un pericolo per la laicità della scuola, bhè, credetemi non so quanto serva l’introduzione di ore di educazione civica per gli studenti. E per i dirigenti o gli insegnanti cosa facciamo? Questo spazio di educazione a chi serve di più? E su Corinaldo preferisco per ora il silenzio. Se sfogliamo i testi del cantante che si doveva esibire si possono capire tante cose sui giovani di oggi. E magari inserire nella lista “da educare” anche i genitori per tornare ad essere seriamente quel punto di sguardo e di autorevolezza che non sono più…

Carlo Cammoranesi