Editoriali

Tempo di vocazione

L'ordinazione diaconale in Cattedrale di Francesco Olivieri

L'ordinazione diaconale in Cattedrale di Francesco Olivieri

Cosa è un diacono? Cos’è un prete? Chi è un uomo che coi tempi che corrono offre la sua vita per questo ministero? Sono domande micidiali che non richiedono una riposta secca o banale. Richiedono un cammino, un sì fatto di gesti, di segni, più che di parole. quelle ce ne sono tante oggi, e sempre più a vanvera. Cerchiamo esempi, testimonianze, carezze per il cuore, certezze per l’anima, più che comizi, o discorsi convincenti. Poi ti accorgi una sera, varcando la Cattedrale, mezz’ora prima di un’ordinazione a diacono di un giovane che la chiesa è già stracolma. Chi, quale luogo oggi, al mondo di oggi, è in grado di chiamare a raccolta (sport a parte) così tanta gente in città? Cosa c’è in gioco? Non è uno spettacolo ludico, una performance dell’uomo, è la libertà che si esprime in modo così fantasioso e rischioso, ma per far sì che le proprie esigenze, quelle che uno ha dentro, possano trovare vera corrispondenza nel quotidiano. Sì, la fede è pertinente alla vita, alle pieghe spesso dolorose, sicuramente faticose delle mosse dell’io, ma appartenere a questo grande sì, affidarsi al sorprendente disegno voluto da Dio, è il passo più decisivo e risolutivo. Dentro la paura, ma con il coraggio di un bene che è in agguato. E c’è. Abbiamo bisogno di uomini capaci di queste scelte, pronti a rivoluzionare il proprio programma esistenziale. Uomini sempre più 'pastori', autorevoli per carità più che per ruolo, 'accompagnando nel discernimento' le persone di oggi, senza mai staccare un attimo gli occhi da questo abisso, da questa vocazione a un legame drammatico. Il prete, un uomo così, quindi anche un diacono, è innanzitutto uno che si lascia amare da Dio e dagli uomini.  Oggi nella nostra cultura e società il tema della vocazione appare oscurato. Come se si potesse intendere la vita al di fuori di una chiamata. Infiniti sono intorno a noi i modi con cui le persone si arrabattano per capire chi essere e come dare un senso alla propria vita. Molte figure si sono sostituite al prete accompagnando tale ricerca, dagli psicoterapeuti ai coach ai cercatori di talenti, segno che il problema esiste. Il prete, invece, con la sua sola esistenza, indica una cosa vertiginosa. Una cosa 'fuori luogo'. Ci sono chiamate speciali, come quella dei sacerdoti, dei monaci, o degli artisti o degli eroi, o sopra a tutti dei santi, che mostrano a tutti che esiste una 'vocazione', una voce che ci parla per segni a volte chiarissimi, su come indirizzare la nostra vita.  A questi segni occorre prestare attenzione, e fiducia, più che alle proprie congetture. Il prete vive e mostra innanzitutto questa vertigine a tutti: Dio chiama, non tace, chiama la vita di tutti a essere qualcosa di bello e di vero per il mondo. Qualsiasi sforzo di essere se stessi, e anche di essere buoni preti, sarebbe vano senza l’ascolto di tale vocazione, di tale voce che presente in molti modi chiama la nostra vita. Non a caso la letteratura e l’arte non riescono a evitare un confronto con questa figura spesso povera, ma sempre vertiginosa, come si vede da Dostoevskij a Bernanos fino a Vita e Destino di Grossman, uno dei romanzi più forti del ’900. Forse occorre ripartire da lì, da quella vertigine. Poveri e vertiginosi come i nostri giovani. Una generazione senza padre. Ragazzi che vivono la paternità solo come il riempimento della casella del ruolo, non come esercizio reale di amore paterno. Di conseguenza non sempre ricevono i "no" paterni, non hanno il limite, il confine. Oggi si parla di "società liquida", ma forse è gassosa, il liquido almeno si identifica in uno spazio, si vede, anche se ha bisogno di un contenitore. Ma il gas non si vede.?Tanti ragazzi non ricevono paternità, ma hanno l'informatica, vivono nell'era digitale che cambia un po' tutto nella loro vita. Ora si è imposta anche la scissione tra la realtà e la virtualità, stiamo passando alla cultura del "reality", ove il reale è ciò che è narrato nella serie televisiva, non ciò che viviamo nel mondo fisico. Ci troviamo così con ragazzi che hanno un orizzonte culturale evanescente, senza regole, senza limiti, dove non c'è una molecola unita ad un'altra, in stato gassoso, appunto.?È un cambio epocale, nel quale sono crollate due istanze formative fondamentali: la famiglia - che dagli anni Sessanta in poi cambia e diventa edonista e superficiale, portatrice di valori inconsistenti - e la formazione ecclesiale che non regge il confronto con il linguaggio del mondo. Il "prodotto" della vita cristiana viene "venduto" in modo obsoleto, fra il sentimentale e il moraleggiante; di conseguenza il battesimo diventa qualcosa di poco rilevante, e così tutti i sacramenti.?I giovani d'oggi sono poveri, ma forse questa più che un'emergenza è una potenzialità. Guai scoraggiarsi.?Nel "pescare" vocazioni cristiane generalmente pensiamo che ci manchino i pesci, ma ciò che manca è proprio l'acqua in cui pescare! Pensiamo che non abbiamo vocazioni perché i giovani non sono generosi. Sono più che generosi ed attenti, se trovano uno spazio per vivere un processo di identificazione. Se sanno chi seguire.?Ci sono almeno un paio di modi sbagliati di rispondere al problema della carenza di vocazioni: innanzitutto pensare che le vocazioni siano solo quelle sacerdotali. No! Il problema è la chiamata cristiana, la fede, è il vivere da figli di Dio, che è l'unica vera vocazione, e si concretizza nel matrimonio, nel sacerdozio o dove sia. In secondo luogo, ritenere che sia un problema a cui possa rispondere un singolo prete, mentre tutta la comunità è coinvolta. Non si pensa a seguire fino in fondo il Signore Gesù se non si vede qualcuno che lo fa. Il percorso vocazionale non è uno spot, ma l'evoluzione naturale di un processo: la formazione cristiana, che è il vero e proprio compito da svolgere. Dobbiamo, quindi, far intendere che la chiamata alla fede cristiana è una chiamata "personale" alla straordinarietà. Il nemico del cristianesimo è proprio la mediocrità, il fare le cose senza amore, senza zelo. Tutto l’opposto che invece si respirava giorni fa in Cattedrale…