Editoriali

Lo sport che educa

L'allenatore azzurro Nicolato

L'allenatore azzurro Nicolato

L’ennesimo insegnamento che arriva dal mondo dello sport. Come un assist per la vita, una lezione da sfruttare. Da noi, e i media ne sanno qualcosa, le notizie rigogliose come i fiori vengono fatte appassire, lasciando sempre spazio ai veleni e ai rancori. Altro che innaffiate… Quindi giocoforza può capitare di trovare relegate ai margini della cronaca, nei titoli o sui social, le parole dell’allenatore della nazionale azzurra under 20, Paolo Nicolato, sulla decisione dell’arbitro brasiliano Claus di annullare un gol con l’ausilio della nuova tecnologia, il famoso var, praticamente a fine gara e di escludere l’Italia quindi dalla finale dei Mondiali in Polonia. Una scelta indubbiamente pesante, perché la posta in palio era notevole, il gol segnato spettacolare, la rete arrivata a tempo scaduto, i ragazzi già a centrocampo ad abbracciarsi. Già il giornalista che commentava la gara in tv l’aveva buttata là: una decisione, quella dell’arbitro, che susciterà molte polemiche. Finisce la partita, Italia eliminata, i ragazzi in lacrime sul prato, il mondo frana addosso. Spunta un microfono sotto il naso dell’allenatore Nicolato: un boomerang? Una trappola? E la domanda capziosa: avete subìto un’ingiustizia? La risposta è stata esemplare, anche se del tutto inusuale per noi sempre abituati alle risse e alle dietrologie. "La rete per me era buona, ma non si è trattato di un’ingiustizia, semmai di un errore e come tale lo prendiamo". Il marchingegno viene disinnescato, non scoppia nulla. Ci si aspettava la frase-magma per poter eruttare d’inchiostro colonne di giornali e adesso che facciamo? Tutti basiti, forse gli stessi giocatori che probabilmente si auguravano dal proprio allenatore una difesa d’ufficio un po' più sostanziosa, e si sa che gettare la croce addosso all’arbitro è sempre la via di fuga migliore. Una presa di posizione, quell’allenatore azzurro, che in altri paesi sarebbe del tutto naturale ma che da noi fa eccezione. E non parliamo solo di sport quanto di tanti altri ambiti della vita "normale". I professori a scuola sono ormai presi di mira più dai genitori che dai ragazzi e se bocciano qualcuno scatta la denuncia al Tar, i poliziotti, i politici, i magistrati. Chiunque eserciti un’autorità e prenda una decisione lo fa sempre per uno scopo recondito, poco chiaro, e in quanto tale non si accetta mai niente che confligga con il nostro modo di vedere le cose. La verità è sempre una sola, la nostra. Poi arriva Nicolato e ci spiazza tutti. Si può perdere la gara della vita all’ultimo giro di cronometro senza perdere la dignità, spogliandosi del ruolo di vittimista di successo. La tecnologia limiterà gli errori, è vero, ma aumenta la crudeltà del calcio, che già di suo è uno sport spietato. Il tuo calciatore segna, scatta l’adrenalina dell’esultanza, riacciuffi un risultato che sembrava sfumato, poi un congegno riannoda il nastro, non è cambiato nulla. Sei ancora sotto nel punteggio come all’inizio che dovevi rimontare. Scenari da far sbraitare anche una guida tecnica appena uscita da una meditazione zen. Eppure, abbiamo visto, nella modernità dell’innovazione sopravvivono ancora gli uomini di altri tempi. E Nicolato è uno di questi: davanti alle telecamere infatti non si rifugia in alibi, né attacca l’arbitro. Accetta la decisione da signore. Perché lui, oltre ad essere un buon allenatore, si dimostra essere un grande educatore: insegnare a dei ragazzi di diciotto-diciannove anni che non esiste l’ingiustizia ma esiste l’errore, è un qualcosa che non sempre si vede nel mondo dello sport, anzi. Parole come quelle del ct nel calcio italiano forse non si sono mai sentite: parole che devono far riflettere e che puntano il dito verso tutti coloro che dopo una sconfitta, attaccano gli arbitri o si nascondono dietro qualche inutile scusa. Questione di business, si ripete a comando, come se i soldi ci imponessero sempre e comunque di falsare la realtà e deresponsabilizzare il proprio operato. Le evoluzioni negative che ci hanno portato ai nostri giorni hanno ulteriormente demolito i veri principi del fair play nello sport e in particolare nel calcio: un livello di competizione sempre più sfrenato, interessi economici troppo alti per poter “permettersi di perdere” e una rivalità territoriale assurda hanno portato sempre più episodi di scorrettezza e purtroppo anche di violenza dentro e fuori dal campo. Senza voler fare falsi moralismi e riconoscendo anche la “bellezza di una sana competizione” è necessario tornare ad un’etica e ad un rispetto dell’avversario e dell’arbitro che ormai si sono persi. Il problema è molto più profondo e radicato di quanto lo si voglia far sembrare, e le misure restrittive e repressive non sono certo la soluzione a una questione che andrebbe affrontata alla radice. Alla radice vuol dire investire nella formazione e nella scuola, che deve essere il primo motore di trasmissione dei valori del rispetto nello sport e nella vita. Anche le società sportive giovanili e tutti i luoghi di aggregazione come gli oratori dovrebbero crescere i ragazzi all’insegna del fair play, dello sport come fonte di aggregazione, di amicizia e di rispetto. E ovviamente il cambiamento radicale deve partire anche da tanti genitori, che sempre più spesso nelle manifestazioni sportive dei propri pupilli sono i primi a farsi trascinare in atteggiamenti deprecabili, incitando alla competizione più sfrenata e al non riconoscimento dell’autorità arbitrale. I valori acquisiti tramite lo sport vengono riflessi anche nella vita, e solo trasmettendoli alle nuove generazioni potremo sperimentare un qualcosa di nuovo e di vero, perché saranno i giovani di oggi a far passare questi valori alle generazioni successive. Le parole di Nicolato rappresentano una ventata d’aria fresca in un mondo fin troppo malato (e spietato): ammettere la sconfitta senza cercare giustificazioni ed evitare di attaccare una decisione arbitrale (anche se discutibile), significa lasciare ai propri giocatori (ma anche a tutti noi) un bellissimo esempio di correttezza, lealtà e sportività.  Ed è quello che più serve al nostro calcio. Direi di più, alla vita. Avrà pure perso la possibilità di giocarsi una finale mondiale, con la prospettiva di un’eventuale vittoria finale, ma con lui non usiamo per favore la parola sconfitta…