Editoriali

Un Banco di gratuità

Nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, abita un desiderio di bene e di positività. Rischiamo di dimenticarcene, specialmente in una stagione come quella che stiamo vivendo, dove la tentazione di 'salvarsi da soli' anche a scapito di chi se la passa peggio di noi è più che mai in agguato.?Ma ci sono gesti e persone che testimoniano quanto il desiderio di bene sia così radicato da sfidare le circostanze più avverse. È quanto sta accadendo in questi giorni, mentre ci si sta organizzando per la Colletta Alimentare di sabato 27 novembre, giunta ormai alla sua 25° edizione. Negli oltre 11mila supermercati aderenti, oltre 145 mila volontari raccoglieranno la spesa donata dai clienti e che andrà ad aiutare quasi un milione e 700mila poveri. L’anno scorso, nonostante la pandemia, sono state raccolte in tutta Italia 100.983 tonnellate di cibo, distribuite a 7.557 strutture caritative convenzionate (mense per i poveri, comunità per i minori, banchi di solidarietà, centri d’accoglienza) per aiutare 1.673.522 persone. Quest’anno la Colletta torna in presenza. Un bel segno. Sfogliando la storia del nostro Paese – troppo spesso dimenticata dal mainstream mediatico, che preferisce soffermarsi sulle estenuanti polemiche politiche o sugli immancabili protagonisti del gossip nostrano – si scopre una vivacità di iniziative a sfondo sociale, una umanità desiderosa di costruire, un tessuto connettivo che 'tiene' anche in tempi di crisi e che spesso fa da ammortizzatore rispetto alle carenze di un welfare in affanno. Si scopre che esiste ancora un popolo capace di costruire e di essere unito. Da dove nasce tutto ciò? Dalla tradizione cristiana che nei secoli ha fecondato la storia italiana, di cui il Banco Alimentare è un’espressione eloquente. E insieme, dal desiderio di bene che abita le profondità del cuore di ogni uomo e fa camminare insieme gente di differenti etnie e fedi religiose. Oggi più che mai il nostro territorio ha bisogno di testimoni del bene e di gesti di unità come questo, per vincere lo smarrimento e la tentazione della resa sempre in agguato nel travaglio che stiamo vivendo. E per alimentare una speranza capace di tenere in piedi l’esistenza. Con la Colletta scende in piazza appunto il popolo del bene. Non per protestare, ma per riscoprire la dimensione del dono. Ci sarà chi dona cibo per i poveri e chi dona tempo ed energie per raccoglierlo. All’uscita dei supermercati, per raccogliere il cibo offerto da chi va a fare la spesa, ci saranno studenti maggiorenni e pensionati, operai e professionisti, gli alpini con la penna nera sul cappello e gli scout, immigrati che hanno messo radici nel nostro Paese e gruppi di profughi provenienti dai centri di accoglienza. In un clima sociale dove il sospetto, la diffidenza verso l’altro, la paura e la solitudine guadagnano terreno, un gesto così largamente partecipato, trasversale e proponibile a tutti, testimonia che ci si può ancora considerare parte di un popolo e che non è andata perduta la consapevolezza di una tensione positiva che ci accomuna. Una tensione che dovrebbe diventare quindi alimento, da cui trarre energia per ridare vitalità ad un tessuto sociale sempre più imbevuto di cinismo, rassegnazione o ribellismo sterile. Una tensione che ci aiuti a non abbassare lo sguardo davanti ai poveri che incontriamo e a scoprire che poveri lo siamo tutti, perché bisognosi di uno sguardo amoroso sulla nostra condizione umana.  Il cambiamento del cuore è il guadagno più grande per chi donerà e per chi raccoglierà, ed è la condizione perché la carità non si esaurisca nel gesto nobile di un giorno, non rimanga un’emozione passeggera ma diventi uno stile di vita, qualcosa che ci educa a capire cosa conta davvero. Qualunque campagna di sensibilizzazione al problema della povertà non può che essere la benvenuta perché è indice che la nostra civiltà, fondata sul valore unico di ogni essere umano, non vuole fare passi indietro. Però, quello che la mente e il cuore di un essere umano ha bisogno di vedere è il riferimento ad un fatto reale e concreto che suggerisca una possibilità di uscita, una strada attraverso cui si possa toccare una prospettiva positiva. È difficile non sentire anche quest’anno la Colletta come un gesto in profonda controtendenza: in un contesto di persone isolate, diffidenti e spesso in ritirata nei confronti della vita, un popolo si incontrerà nei supermercati e lavorerà per il bene dei più bisognosi; in un momento in cui l’incertezza e la paura del futuro dominano, in tanti, per nulla ricchi, si priveranno di qualcosa per gli altri. La Colletta è il gesto che più ci dice come la speranza sia legata al realismo e non sia un’utopica guerra contro il “sistema”, anche se è l’unica chiave d’accesso per cambiarlo. Infatti quello che le analisi economiche non possono cogliere, perché non è prevedibile, è la scintilla che scocca di fronte a situazioni concrete e che genera la voglia e la capacità di andare avanti, di rischiare, di ricominciare a costruire. Il bene comune non è un’idea astratta, ma una prospettiva generale mutuata da esempi particolari che funzionano, che cambiano qualcosa, anche di molto piccolo, e gli danno una prospettiva. E quindi non può che nascere “dal basso”. Difficile immaginare un’esperienza che, più della Colletta, è vicina al livello più intimo della società, più legato all’iniziativa personale e alla disponibilità a relazionarsi con chi si incontra. Infatti non è solo un esempio di carità, ma di civiltà. Di bene. Il bene è un pacco di pasta da donare al Banco, ma soprattutto è la scintilla che scatta in chi decide di farlo. Questa scintilla cova nel popolo sotto la cenere. Potrà capitare non solo di dire “io” in modo diverso, ma anche di scoprire di essere “noi”. Nessuna organizzazione, nessun filantropo, infatti, potrebbe sostituire quell’unità di popolo che si formerà quel giorno: tante persone accomunate nel cuore, prima che nel gesto, da un unico slancio. È quello che si riscopre, ad esempio, quando il Paese è colpito da calamità: succede di vedere che c’è un mare di carità, di desiderio buono, e che la nostra “goccia” ha senso perché riverbera una forza più grande di quella personale ed è per questo unita alle tante altre “gocce”. Dare del cibo diventa così un fondamentale strumento anche perché chi è in difficoltà ritrovi speranza, vigore, fiducia in se stesso, voglia di tornare a costruire. Il mare di carità diventa un oceano e il gesto di chi partecipa alla Colletta diventa un abbraccio virtuale a tutto questo movimento positivo che si si fa strada tra tanto male. Perché, mentre si farà tutto il possibile per sconfiggere la povertà, per migliorare la vita del nostro prossimo (quanto costerebbe allo Stato intervenire per così tante persone?) si comprenderà che “la carità è sempre necessaria, anche nella società più giusta”, come disse il Papa qualche anno fa, perché il nostro bisogno di esseri umani è infinito. E infatti poco dopo la Colletta arriva il Natale. Un’altra occasione, la più importante, per non considerare la raccolta nei supermercati come una cometa che sfugge e si allontana allo sguardo.  

Carlo Cammoranesi