Editoriali

Ribolle la piazza

Per un giornalista questo mese di giugno rappresenta una sorta di incolonnamento autostradale sotto le ferie ferragostane. Eventi che spuntano da ogni casello, iniziative che ritrovi in ogni area di servizio, ospiti che irrompono sulla scena magari sostando nella corsia di emergenza… Fuori di metafora, è come una lunga strada percorsa da un popolo che cerca una meta desiderata ed è pronto ad affrontare ogni sacrificio, compreso quello non trascurabile, meteorologico (qualche parvenza di caldo torrido), per raggiungerla, toccarla con mano. Così la città, l’intero territorio sembrano risvegliarsi dal torpore per invadere la piazza, per frequentare i luoghi pubblici, per riempire gli auditorium, per riprendere uno spazio di presenza e di partecipazione. L’agorà, il forum, l’emblema della civis. Questo ambito, nel suo significato urbanistico, può essere definito come uno spazio libero limitato da costruzioni, uno spazio vuoto in mezzo al pieno, un allargarsi delle maglie del costruito per “fare luogo” ad una possibilità. La parola, e lo stiamo sperimentano in questi frangenti tra le attività dell’Annual Conference dell’Unesco e quelle del Palio, in un rivolo continuo di manifestazioni secondarie e complementari, quella parola evoca incontro, accoglienza, relazione tra persone. Tutto quello di cui abbiamo bisogno e di cui si nutre una città per una sua identità di popolo. Perché l’identità dell’uomo si costruisce nella relazione sociale, che include la condivisione delle proprie vedute, le forme di divertimento, i progetti da attuare in collaborazione. Sorprende sempre come la gente desideri che gli…intasamenti di programma di giugno diventino una costante della vita cittadina, non perché si voglia avere ogni giorno la possibilità di partecipare ad un evento, ma perché questo calendario offre una prospettiva diversa, di apertura, di risveglio, di incontro con l’altro. Quella decadenza che spesso intravediamo con l’irrompere dello spazio virtuale comincia proprio con la riduzione della comunità a mera aggregazione di individui, prosegue con l’erosione e il decadimento degli  spazi pubblici, e non può concludersi che con la morte della città.  ?Ma c’è una via di recupero. La ricchezza, il senso, i problemi della civiltà urbana non sono del resto comprensibili se non si tiene stretta la triade urbs, civitas, polis: città come realtà fisica, città come società, città come governo. Fin da sempre nelle piazze i membri delle singole famiglie diventavano cittadini, membri di una comunità. Lì celebravano i loro riti religiosi, si incontravano e scambiavano informazioni e sentimenti, cercavano e offrivano lavoro, accorrevano quando c’era un evento importante per la città. E il ruolo che svolgevano era sempre correlato alle condizioni della società, al tempo e al contesto cui erano riferiti: un allarme o una festa, la celebrazione di una vittoria o di una festa religiosa, la pronuncia di un giudizio o una sanguinosa esecuzione. ??Le piazze non erano solo dei luoghi aperti. Erano lo spazio sul quale affacciavano gli edifici principali, gli edifici destinati allo svolgimento delle funzioni comuni: il mercato e il tribunale, la chiesa e il palazzo del governo cittadino. Il loro ruolo sarebbe stato sterile se non fossero state parte integrante del sistema dei luoghi ordinati al consumo comune dello scambio e del giudizio, della celebrazione dei valori comuni e del governo della polis. ??Le piazze erano i fuochi dell’ordinamento della città. Le piazze e le strade che le connettevano costituivano la sua ossatura. Le abitazioni e le botteghe ne costituivano il tessuto. Una città senza le sue piazze era inconcepibile, come un corpo umano senza scheletro. ??Nel momento che stiamo vivendo, caratterizzato da nuove forme e linguaggi di comunicazione, viene da chiedersi se si possono configurare nuove piazze, non legate ad un luogo, ma a sistemi basati sulla tecnologia. Si pensi ai social network e alla comunicazione visiva tra più persone anche lontane. Si vengono a formare così piazze virtuali sempre più numerose. La piazza reale è meno praticata. Il cuore dello spazio urbano rischia di essere soppiantato allora dal virtuale, il cui universalismo diventa impoverimento della comunicazione reale. Anche Papa Francesco ha colto le sottili minacce di questo passaggio dell’era post moderna ed allora “è necessario curare gli spazi pubblici, che accrescono il, nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro ‘sentirci a casa’ all’interno della città che ci contiene ed unisce. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si può percepire come parte di un noi che costruiamo insieme”. L’intersecarsi, fortemente voluto, degli eventi Unesco e Palio, costituisce proprio questa sfida a casa nostra. Non una tempesta di storie e di testimonianze che ci cadono addosso, lasciandoci solo il senso di una realizzazione incompiuta, un bagliore subitaneo di novità e grandezza, ma un laboratorio permanente per vivere ed abitare con una coscienza nuova lo spazio abituale e quotidiano, arricchendo la cultura, educando lo sguardo, facendo esperienza di relazioni e di confronti, affezionandoci ai crocicchi, alle strade, ai centri che sono da sempre familiari, mettendo amore nei passi e nei gesti, davvero come se fosse anche nostro quel piccolo fazzoletto di sampietrini. I bambini scrivono frasi per il decoro, le scuole interpretano il futuro con speranza progettando qualcosa di più umano e fattibile, i grandi personaggi della politica, della cultura e non solo (pensiamo ad un Mattarella e ad un Conte, ma anche ad un Piovani) visitano una città creativa che forse aspetta uno scatto di vera ripresa, di autentica costruzione per stracciare i lacci dell’individualismo, che porta a rinchiudersi nella certezza protettiva delle proprie mura anzichè abbracciare e ridare alla piazza quel ruolo che ha sempre avuto. Non il teatro mesto di un coprifuoco, ma lo spazio dell’incontro, della festa, del rito popolare, della protesta, del controllo, della casa ritrovata, del respiro di una comunità. Oggi l’Unesco, domani il Palio, ma dopodomani giammai la nostalgia o il pensiero di una bellezza intravista e sfumata.