Editoriali

La scuola dei paradossi

L’educazione è la nemica della saggezza, perché l’educazione rende necessarie tante cose di cui, per essere saggi, si dovrebbe fare a meno” fa dire Luigi Pirandello a Maurizio Setti in Il piacere dell’onestà. Ora: per essere saggi, appunto, bisognerebbe applicare il paradosso pirandelliano alla bizzarra idea dell’ora settimanale di educazione civica (già cittadinanza e Costituzione) che il Parlamento vorrebbe introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado a partire dal prossimo anno scolastico. L’iter della proposta di legge fa acqua da tutte le parti, introduce elementi che poco o nulla c’entrano col tema specifico (l’enogastronomia… sic!), non dipana la nebbia circa chi-come-quando debba insegnare la materia né su chi la debba valutare (un singolo, un pool?) e via discorrendo. Vorremmo solo aggiungere un elemento “nuovo” e per nulla secondario, ma di cui pare nessuno si sia reso conto: l’iniziativa parlamentare raccoglie diciassette proposte diverse, compresa una popolare, ma manca totalmente la voce dei docenti. Non quella di chi insegna in università, che è altra, ma proprio degli insegnanti di scuola elementare, media e superiore. Paradossale, vero? L’élite politico-intellettuale del Paese si mobilita per introdurre una “nuova” materia nell’ordinamento scolastico e si “dimentica” di ascoltare il parere di chi quella materia dovrà impartire. Certo, non si tratta di novità assoluta: quanti cambiamenti, più o meno radicali e spesso negativi, tanto da venire ribaltati dai governi successivi, sono avvenuti negli anni in questo settore senza che le sue componenti di base venissero ascoltate? Il consueto vizio italico di preparare iter burocratici, di introdurre norme, di valutare progetti senza i reali protagonisti che dovranno poi assecondarli e lavorarci. Qui infatti si innesta una differenza sostanziale: la maggioranza degli insegnanti non crede nell’opportunità di introdurre l’educazione civica come materia a se stante, con tanto di voto a parte. E non perché (qui sta il punto vero) 33 ore l’anno sono ridicole, dovendole distribuire una per settimana e contando possibili assenze del docente o dell’allievo, degli scioperi, delle manifestazioni, delle uscite didattiche, delle visite guidate e di tutte quelle iniziative che punteggiano il nomale svolgimento del calendario fra settembre e giugno. Nemmeno perché ad insegnare la disciplina sarebbero di sicuro, almeno fra elementari e medie inferiori, i “soliti” docenti di lettere, in quanto coordinatori di classe, presidenti o segretari del consiglio sono già gravati da una infinità di obblighi burocratici che – diciamolo una volta! – a quasi tutti i colleghi non competono. No, il fatto per cui abbiamo definito “bizzarra” l’idea in questione è che ci siamo dimenticati di un particolare: non si entra in classe per insegnare italiano, scienze, musica, educazione fisica o qualunque altra materia. Si entra in classe per insegnare a vivere. E lo si fa utilizzando le singole discipline come strumenti per raggiungere quello scopo. Facendo lezione diventa inevitabile insegnare contestualmente l’educazione all’ascolto, alla convivenza, al rispetto, al dialogo, alla partecipazione: in una parola, all’educazione civica. I colleghi di storia lo sanno bene: quando parlano dei Comuni medievali piuttosto che della Rivoluzione americana e introducono ovvi paragoni con la situazione italiana – Carta costituzionale compresa – o europea attuale, non fanno forse educazione civica? E i colleghi di lettere, non fanno altrettanto con l’esule Foscolo che grida l’Italia libera o con Manzoni (I Promessi Sposi sono tutti un inno alla giustizia, che è cardine dell’educazione civica)? E in tecnologia non si punta da anni sul rispetto dell’ambiente? Nelle lingue straniere non si toccano anche i fondamenti delle istituzioni pubbliche? O vogliamo sostenere che le materie scolastiche sono pura erudizione e non c’entrano con la vita quotidiana? Gli eletti in Parlamento, nessuno dei quali crediamo, non sappiamo pensare diversamente, abbia la benché minima idea di cosa significhi insegnare, procederanno imperterriti – maggioranza e opposizione – sulla loro strada. Il ripensamento non è nelle loro corde. Però prendete nota: accadrà anche questa volta – come altre nella storia della Repubblica – che, passato qualche anno e scemato l’entusiasmo (!), l’educazione civica come materia autonoma cadrà in disuso. E tale rimarrà fin tanto che a qualche altro politico di turno verrà in mente di proporre – novità! – l’educazione planetaria, spaziale o chissà altro ancora…