Editoriali

Una carta... d'innovazione

Tutti gli anni, in questo periodo, affrontiamo una tappa lavorativa che ci sta decisamente a cuore: il lancio della campagna abbonamenti. Non è tanto lo slogan da proporre che mettiamo nel “red carpet” dei nostri interessi, quanto il senso di una missione che ci vede sul campo da oltre un secolo, attraverso vari passaggi generazionali, con figure carismatiche come don Agostino Crocetti, don Giuseppe Riganelli, don Pietro Ragni, che hanno segnato la storia di questo settimanale. Un senso di responsabilità, di rappresentanza della comunità, di impegno civico. Un valore, non un peso, un investimento, non un costo. Quest’anno poi ci apprestiamo a varcare la soglia dei 110 anni. Un traguardo glorioso, che ci vede tra i periodici più longevi d’Italia. Nessuna enfasi, dicevamo, per gli slogan, ma quello attuale sui 110 anni, con questa ricorrenza storica che “gioca” sulla votazione massima di una laurea (il 110), fa perno sulla decisività del fattore “lettore”, il nostro pubblico, quello che si merita… la lode, per rimanere in tema accademico. E’ colui che legge, ovvero che ci sostiene, il principale soggetto della testata, che oltre ad incoraggiarci, è pronto a segnalarci tematiche e proporre idee da sviluppare. Un tesoro da custodire e da potenziare. E il giornale come si inserisce in questo contesto celebrativo? Non molla la presa sulla realtà, non si discosta dalle aspettative dei suoi lettori. Vogliamo essere presidi di libertà non contrapposti ai media nazionali, ma portatori di una ricchezza propria che riportano spesso al centro chi è ai margini, chi è in povertà, chi non ha spazio o voce. Una ricchezza, insomma, fatta di approfondimenti, di attenzione per le periferie geografiche ed esistenziali vuole essere la cornice di un quadro abitativo che abbraccia tanti luoghi, tante frazioni, tanti piccoli borghi. Un presidio determinante nei territori, che però è stato messo alla prova sia dalla difficoltà post Covid dell’editoria che dalla sfida dell’innovazione tecnologica. E’ stato illuminante nel novembre 2019, l’intervento del segretario generale della Cei, Mons. Stefano Russo, Vescovo della nostra Diocesi fino all’anno scorso, sottolineando come «i vescovi italiani non possono non sostenere e supportare la voce di coloro che chiedono che venga mantenuto il sostegno a favore di questi presidi. È in gioco il pluralismo dell’informazione». La stampa diocesana è chiamata non solo a fare informazione, ma ad «integrare alla funzione informativa anche quella formativa». Oggi però questi presidi territoriali di libertà devono confrontarsi anche con l’evoluzione digitale che “sembra fagocitare tutto”. Ma avremo futuro se saremo innovativi dentro, perché informazione è innovazione. E sarebbe pericoloso rimanere solo a spolverare il passato e proseguire sul tracciato consueto senza uno straccio di novità, senza un proposito di prospettiva. Continueremo a perseguire l’idea di un giornalismo di prossimità, con la pacatezza del linguaggio usato e il rifiuto di frasi urlate o frasi facili per portare a casa qualche lettore in più. Un linguaggio che sa insegnare ma anche l’ascolto del territorio come caratteristica precipua. Il contributo essenziale dei settimanali cattolici si basa su questi due pilastri che hanno segnato dall’inizio la vita dei media diocesani. Si tratta di settimanali cattolici come rappresentazione della Chiesa, una tenda aperta, fraterna, che raccoglie e rilancia le sofferenze e le speranza della gente anche con il coraggio di andare controcorrente. Oggi invece l’informazione viene spesso vista solo come un prodotto da vendere. La conseguenza peggiore è il progressivo svuotamento di significato di molte parole appartenenti al vocabolario della vita, della fede, della Chiesa. Ma chiedendosi come uscirne dal «consolidato e diffuso analfabetismo che impoverisce tutto», Il cardinale Bassetti sottolinea come «proprio l’esperienza secolare dei settimanali diocesani indica che l’antidoto sta nella ricerca di un linguaggio che consenta al messaggio di essere comprensibile e di insegnare».  In più l’inchiostro di questi settimanali resta l’ascolto, non quello passivo o distratto, ma attivo e accogliente, un ascolto del territorio ben oltre la pura cronaca. Da qui un incoraggiamento ai direttori dei settimanali, sono sempre parole del presidente della Cei, di sapersi ascoltare «con umiltà e pazienza» di costruire «reti di condivisione all’insegna della stima e della valorizzazione reciproca», guardando più in là dell’immediato. “A questi settimanali spetta il compito di assaporare la bellezza e la fatica dello stupore. È l’unica medicina al virus dell’autoreferenzialità”. E lo stupore riconnette con il territorio, «valore umano, sociale e culturale dentro il quale il settimanale diocesano si costruisce e costruisce». Partiamo per una nuova avventura, consapevoli della fatica del periodo storico, ma anche dell’importanza di una presenza incisiva, che non sia afona, ma che al tempo stesso non urli sguaiatamente. “L’Azione” ha il suo stile, il suo pubblico, il suo territorio. Non restiamo a presidiare lo spazio, ma allarghiamo i confini per testimoniare ad ognuno la freschezza di una comunicazione spalacata ed attrattiva. Nel periodo del lockdown non immaginate quanta forza e quanto stimolo ci hanno donato le segnalazioni di alcuni nostri lettori: “Grazie per non aver mai saltato un’uscita… che sorpresa trovare il giornale nella cassetta della posta e che compagnia durante la settimana nello sfogliare e leggerlo!”. Questo amico di carta resta vicino alla sua gente, non si allontana da una tradizione che è fonte di ispirazione e di crescita. Ma sa guardare al nuovo, tra web e social, con coraggio e con equilibrio. Accettando il testimone da don Crocetti, poi don Riganelli, don Ragni, don Lasconi, il nostro don Tonino, come in una staffetta sportiva. Imparando sempre a comunicare. Non parlare o fare mostra di sé, colorire i fatti ed enfatizzare i numeri per sorprendere, ma condividere (cum) la propria funzione, il proprio dovere, il proprio dono (munus). Il suo significato autentico, originario ne rivela tutta la carica responsabile, positiva, finalizzata alla difficile bellezza del bene comune.