Editoriali

Il sogno di Elodie

La cantante Elodie

La cantante Elodie

Parafrasando un passo dei Vangeli quando Natanaele si rivolse a Filippo… ci verrebbe da dire se “da Sanremo possa uscire mai qualcosa di buono”. Al di là della consueta galleria di volti e note, più sconosciuti che mai, ha colpito, tra gli ospiti del Festival, l’intervento tutto d’un fiato fatto dall’artista Elodie, quando in orario da notte fonda ha condensato in quattro minuti il racconto della sua vita di borgatara romana con una spigliatezza che ne mascherava la sofferenza. L’emblema di un popolo disilluso, arrabbiato, rimosso. Eppure invece di dirottare l’attenzione sulle responsabilità altrui, che ci saranno pure, ha preso di petto quelle individuali. Ha descritto quella crescita faticosa, contorta in una terra che ti fa nutrire pregiudizi su tutto, compresa te stessa e ti porta a scappare da ogni genere di prova – dall’esame di maturità a quello per la patente – fino a trasformarsi in autocensura emotiva: “Il sogno era cantare, ma mi vergognavo di farlo anche sotto la doccia”. Poi l’incontro con un pianista le fa maturare il convincimento che è suonato come una molla per tutti… “l’importante non è sentirsi sempre all’altezza delle cose, ma farle. Essere all’altezza, adesso, non è più un mio problema, è solo un punto di vista”. Parlando del quartiere in cui è nata ha spiegato che gli ha dato tanto ma che gli ha tolto altrettanto. La cantante ha tenuto a precisare di non parlare solo di “privazioni materiali” ma anche “della voglia di sognare“. Nel suo intervento ha voluto citare anche una frase di una canzone del compagno Marracash: “Voi ci rubate il tempo che è l’unica cosa che abbiamo” ha detto la donna sopraffatta più volte dall’emozione, in riferimento ai giovani che si trovano a nascere in quartieri poveri come il suo. Il monologo in cui si è esibita Elodie ha trattato un problema molto diffuso, ossia quello della povertà educativa. Si tratta di un problema che ormai affligge ampiamente la società odierna e che ancora non ha ottenuto un’adeguata attenzione. Per povertà educativa non si intende soltanto quella economica, ma anche l’impossibilità di accedere agli beni e alle stesse opportunità fondamentali per la crescita da parte di tutti i bambini e gli adolescenti. Dalle sue parole emerge la necessità che, da un lato, i genitori spronino i propri figli a perseguire i propri sogni e a credere in se stessi, dall’altro, ai giovani il messaggio di avere il coraggio di fare le cose. L’importante, infatti, non è essere all’altezza delle cose ma di avere il coraggio di farle e di credere in quello che si fa. Inseguire i propri sogni, le proprie aspirazioni. Quando di qualcuno si vuole dire che manca di buon senso, o anche solo di senso comune, si dice: «È un sognatore». Perché il sognatore non ha i piedi sulla terra, non sa che cosa sia la concretezza, non ha consapevolezza dell'opportunità, non è capace (o magari non vuole?) di “farsi furbo”. Una condizione tipica dei giovani, ai quali non a caso viene spesso ripetuto fino alla nausea “quando la smetterai di sognare, allora finalmente...”. Così che il sognare finisce con l'avere una sua propria dignità esclusivamente come attività onirica notturna, mentre il sognare di giorno è solo una perdita di tempo.?Già, una perdita di tempo. Ma per chi? E rispetto a che cosa? Per Papa Francesco ci sono pochi dubbi, e lo ha detto chiaramente in varie occasioni: i sogni dei ragazzi «fanno un po' paura agli adulti. Forse perché hanno smesso di sognare e di rischiare, forse perché i vostri sogni mettono in crisi le loro scelte di vita». Eh sì, mettono in crisi le certezze di ripiego, un po' vigliacche, di chi ha tirato i remi in barca: «Ma voi – ha aggiunto Francesco – non lasciatevi rubare i vostri sogni», perché «un giovane che non sa sognare è un giovane anestetizzato», mentre peggio ancora sono «i giovani da divano», o quelli «senza sogni che vanno in pensione a 20-22 anni».?Poi Francesco ha voluto proporre ai suoi interlocutori, anche l'esempio di un ragazzo che «sognava in grande», e non aveva paura di farlo: «C'era un ragazzo qui in Italia, che cominciò a sognare alla grande, e il suo papà, un grande uomo d'affari, cercò di convincerlo, ma lui disse: “No, io voglio sognare questo che sento dentro”, e alla fine se n'è andato per sognare». Allora il padre lo seguì: «Quel giovane si è rifugiato nel vescovado, si è spogliato delle vesti e le ha date al padre: “Lasciami andare per il mio cammino”». Questo ragazzo «si chiamava Francesco, e ha cambiato la storia dell'Italia». Per il Papa il «Santo Poverello» di Assisi «ha rischiato, sognando in grande, non conosceva le frontiere. Era un giovane come voi, e come sognava!». Sogni grandi, belli, per vedere i quali non aveva bisogno di artifici né droghe che «ti addormentano il cuore, ti bruciano il neurone, ti rovinano la vita». Sogni che hanno ogni diritto di cittadinanza e che, dunque, non soltanto non meritano di essere mortificati, ma che in qualche modo, in ogni modo, il “mondo dei grandi” dovrebbe sempre incoraggiare, spingendo i giovani a coltivarli come un fiore prezioso. Che forse non darà mai nessuna ricchezza, ma aggiungerà bellezza al mondo. Piano quindi a snobbare i "sognatori": sono capaci di sorprendere chi li crede ingenui e illusi. Uno per tutti, tanto per rispolverare un’altra testimonianza rilevante: «Mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa..."». Il sogno è una cosa seria, non va scambiato con l’astrazione inconcludente di chi si chiama fuori dalla storia per costruirsi un mondo a parte. C’è il sogno che vale una ritirata, ma anche quello che vede una realtà nuova, e ha bisogno di sottrarsi alla rassegnazione per alzare lo sguardo sul domani. Sognare spalanca la vita a progetti che faticano a star dentro la camicia di forza di compromessi e regole scritte da altri. È solo sognando che si può contemplare ciò che ancora non esiste e che tutti, attorno, ti spingono a credere inutile, faticoso, irrealizzabile. È così che si costruisce lo spazio nel quale può entrare il cambiamento di orizzonte, la rivoluzione di vita, l’idea e la parola che il mondo non conosce. È l’inaudito che diventa credibile. ?Per questo nel silenzio creato dal sogno Dio può parlare all’uomo, riempie il cuore disposto a non accontentarsi, e convince che l’impossibile è tale solo per chi si contenta del prudente realismo. Così sbaraglia il castello di carte del calcolo e della convenienza col vento del nuovo. Chi sogna così passerà pure per matto ma custodisce il segreto che tutti, misteriosamente e una volta ancora ogni mattino, continua a muoverci malgrado ogni avversità: la speranza. Giuseppe, poco più di un ragazzo, non era tipo da accontentarsi se Dio gli parlò in sogno capovolgendo i suoi progetti, evidentemente contando che poi, «destatosi, fece come gli aveva ordinato l’angelo». Ecco, un sognatore con i piedi per terra e ben ancorato alla realtà. I paradossi fanno anche questi scherzi.