Editoriali

Europa, leadership cercasi

Lo chiamiamo sempre per comodità “Vecchio continente”, forse per una questione temporale, ma più probabilmente per una mancanza di scatto vitale, di freschezza umana, di risveglio delle coscienze. Europa. Una pesantezza addosso, piuttosto che un bagliore di novità e di rilancio. C’è una fotografia, scattata il 22 settembre 1984, che riassume in sé il senso e il cammino compiuto dall’Unione Europea. Raffigura Helmut Kohl e François Mitterrand mano nella mano davanti al memoriale di Verdun, il carnaio dei carnai della Grande guerra, palcoscenico dell’Europa che scelse il suicidio, partorì i peggiori mostri totalitari e li lanciò in un secondo e più devastante conflitto mondiale. Sotto le macerie del trentennio 1914-1945 rimase un cadavere: quello del nazionalismo, l’ideologia squalificata e mortifera che oggi, mutata di nome ma non d’abito, le cosiddette forze 'sovraniste' stanno destando dal sonno. Ma quelle stesse macerie partorirono anche un neonato: il sogno dell’unificazione europea, di cui i padri fondatori gettarono le basi in un continente dimezzato dal sistema sovietico e reso dagli Stati Uniti una frontiera anticomunista.  Oggi, nel passare inesorabile della scena di questo mondo, i tragici presupposti del cammino verso l’unità appaiono a molti un ricordo lontano e sbiadito; e la stessa Ue un ingombro visto con fastidio se non un nemico da abbattere. Dal primo punto di vista, è la stessa Europa, sonnolenta, impaurita, perfino cattiva nelle sue politiche, a guardarsi e a non riconoscersi più. Gliel’ha ricordato con forza di profeta Papa Francesco un po’ di tempo fa: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?». Sembra quasi come sempre di trovarsi ad un capezzale per rianimare un malato senza uno straccio di prospettiva. Oggi l’Europa subisce immobile la tragica sequenza di sbarchi per dare un senso diverso all’arrivo drammatico di migliaia di migranti: ovvero un peso, altro che risorsa. Come ora assiste attonita all’attacco turco in Siria con centinaia di migliaia di sfollati, anche loro in fuga. Si scappa sempre, dalla povertà, dalla guerra, dalla paura, da un tunnel costellato di orrori e si sogna un capitolo diverso per la propria esistenza. E’ impossibile negare le ragioni che hanno figliato gli antieuropeismi d’ogni sorta: l’impatto devastante delle crisi economiche, gli effetti della rivoluzione tecnologica, gli sconvolgimenti del mercato del lavoro, le politiche di austerity, lo svuotamento dello stato sociale, l’impoverimento di milioni di cittadini, le modalità di gestione dei flussi migratori. E nessuno può nascondersi che proprio da qui si è prodotta la grande menzogna di cui ci stiamo impastando la bocca – 'venticinque anni fa non c’era l’Europa, venticinque anni fa stavamo meglio, dunque la colpa di tutto è dell’Europa' – che è slogan dilagante perché da molti vissuto come vero, e con vere conseguenze. Ma la domanda cruciale, e che non deve trovare per forza una risposta subito, è quella di chiedersi: esiste ancora un’Europa se smette di dialogare con le sue radici cristiane, se nasconde la sua identità per cavalcare la falsa idea della tolleranza? Negando per di più se stessi. Ma è un’Europa che si deve riscoprire come processo democratico che passa prima di tutto per una istituzione seria, non un baraccone folcloristico, come il Parlamento europeo, ma che ha come fine la costruzione di una cittadinanza europea piena e compiuta. Se sceglierà d’essere sé stessa, per dirla con Paul Ricoeur un 'presente vivente' capace di tenere insieme il patrimonio del passato e l’orizzonte del futuro – oggi rubato a milioni di europei – dovrà evitare lifting di facciata e mettere pesantemente mano ai problemi che feriscono e non ti lasciano dormire. Ancora Papa Francesco in una delle ultime uscite sul tema Europa si poneva la questione sulla nostra responsabilità in un tempo in cui il volto dell’Europa è sempre più connotato da una pluralità di culture e di religioni, mentre per molti il cristianesimo è percepito come un elemento del passato, lontano ed estraneo. Ed a supporto ha rilanciato la figura di S. Benedetto, fondatore dell’Europa. "Nel tramonto della civiltà antica, mentre le glorie di Roma divenivano quelle rovine che ancora oggi possiamo ammirare in città; mentre nuovi popoli premevano sui confini dell’antico Impero, un giovane fece riecheggiare la voce del Salmista: «Chi è l'uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?». Nel proporre questo interrogativo nel Prologo della Regola, San Benedetto pose all’attenzione dei suoi contemporanei e nostra una concezione dell’uomo radicalmente diversa da quella che aveva contraddistinto la classicità greco-romana, e ancor più di quella violenta che aveva caratterizzato le invasioni barbariche. L’uomo non è più semplicemente un civis, un cittadino dotato di privilegi da consumarsi nell’ozio; non è più un miles, combattivo servitore del potere di turno; soprattutto non è più un servus, merce di scambio priva di libertà destinata unicamente al lavoro e alla fatica". ?Il primo, e forse più grande, contributo che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone. Purtroppo, si nota come spesso qualunque dibattito si riduca facilmente ad una discussione di cifre. Non ci sono i cittadini, ci sono i voti. Non ci sono i migranti, ci sono le quote. Non ci sono lavoratori, ci sono gli indicatori economici. Non ci sono i poveri, ci sono le soglie di povertà. Il concreto della persona umana è così ridotto ad un principio astratto, più comodo e tranquillizzante... Le cifre ci offrono l’alibi di un disimpegno, perché non ci toccano mai nella carne. Persone, come quelle che costituiscono una famiglia, ed ecco un altro refrain che si sente tra i soloni d’Europa. Si propongono i bonus, si snocciolano programmi per il sostegno alla famiglia. Poi chissà perché di fronte ai conti che non tornano la prima a cadere è la famiglia stessa. Sarà una scuola di pensiero. Chi ha più figli affronta più spese, certo, ma non tutti i single sono splendidi professionisti con l’attico. Servono compensazioni ed attenzioni per ogni esigenza. C’è il genitore che cresce il figlio da solo, c’è il disoccupato, c’è chi lavora in modo precario e chi si è separato ed ha ricadute importanti sul reddito. Continuare sulla strada dei bonus a pioggia – complicati tra l’altro da richiedere – o accendere battaglie ideologiche sulla natura del nucleo familiare, non serve a nessuno. Ci sfugge la famiglia e perdiamo l’Europa. Vale a dire noi stessi.