Editoriali

Il coraggio di una scelta

Da bambini non vediamo l’ora di diventare grandi, di conquistare la nostra indipendenza. Crescendo ci accorgiamo che l’indipendenza non si conquista con il tempo, perché se è vero che riusciamo ad acquistare quella fisiologica ci rendiamo conto di perdere man mano quella mentale, sovrastati da una serie di etichette, doveri, schemi che ci inibiscono l’esistenza e ci fanno esclamare “voglio tornare bambino”. Oggi i fattori esterni che spingevano a “crescere” non esistono più: tutto è stato messo in discussione, l’ingresso nell’età adulta ha assunto una sfumatura di relatività ed è da ricondurre al livello individuale. Il motore della crescita è da ricercarsi in primis nella propria interiorità. Per definire un adulto dobbiamo tenere conto non solo dei fattori sociali e biologici, ma soprattutto di quelli psicologici. L’indipendenza da un certo schema, dalla ritualità dell’età adulta, l’assenza di una mappa definita dei compiti da svolgere per diventare adulti ha ridefinito le nostre priorità, ci ha lasciato un largo margine di azione che ci porta a un surplus di stress.  Cosa resta da fare, quindi? Obbedire a una costante, l’unica che vale per tutti i secoli e nella dimensione dell”ovunque”: raffinare la propria capacità di pensiero critico, “specializzarsi”, acquisire esperienza e consapevolezza. E soprattutto acquisire responsabilità, non più solo nei confronti di se stessi, ma anche verso gli altri. Oggi si ha paura di crescere, passati i 20 anni ci si sente in corsa verso il massacro. Si fa fatica a lasciarsi tutto alle spalle e a varcare la soglia della maturità per paura di non riuscire ad essere all’altezza. Crescere è diventato un tabù perchè il  mondo odierno offre poche garanzie e molti dubbi. La vita è oggi più che mai per noi giovani moto perpetuo, ricerca continua di un lavoro, di uno spazio, necessità di definire, giorno per giorno, noi stessi.  È triste pensarlo, ma se assumiamo come discrimine l’indipendenza economica, molti ragazzi di oggi non diventeranno mai adulti. Non è questione di essere “bamboccioni”, di non aver voglia di fare, di essere rinunciatari. Portiamo sulle spalle un peso quasi ontologico, fatto delle insicurezze di un’intera società che ha troppo a cui pensare e non riesce a dare ai suoi giovani un supporto autentico.  I giovani? Un investimento a perdere, la generazione del limbo 2.0: si stanno ridefinendo i valori, sta cambiando la storia e loro si sentono mancare la terra sotto i piedi. E in pochi danno una mano.  Si vive in un mondo di dinosauri e scenari futuristici, e l’oggi dov’è? Il presente soffoca.  I quasi adulti di oggi saranno gli insoddisfatti quarantenni di domani?  Oggi crescere è sicuramente meno brutale rispetto al passato ma più faticoso, i giovani si sono guadagnati libertà e indipendenza e nessuno dice loro più cosa devono fare per crescere, si è perso il copione, si dia il via all’improvvisazione.  Ma la paura resta, non solo nell’entrare nell’età adulta. E in vari ambiti si raggiungono, dati alla mano, vette parossistiche, al confine con la vera e propria gag da avanspettacolo. Sempre nel segno della paura. Paura di coppia. Non è solo il sesso o il tradimento che viene messo nei patti pre-matrimoniali. Negli Usa, oltre alla parte più normale, che riguarda la destinazione dei beni posseduti in caso di separazione, ci mettono di tutto: dove far studiare i figli, come accudire i cani, che fare della suocera, quali turni per fare la spesa, ecc. Perché su tutto si diffonde evidentemente l’incertezza esistenziale, e si pensa che la soluzione sia in un bel contrattino. Gli accordi pre-matrimoniali sono vigenti nei paesi anglosassoni, e anche in Germania. In Italia per ora no, ma il Governo ci sta lavorando. Alla nostra maniera: la materia è rubricata come una delle 21 deleghe all’Esecutivo contemplate nella bozza di disegno di legge sulle semplificazioni (sic!), che si sta mettendo a punto a Palazzo Chigi. Paura nei giovani. Il 7% dei ventenni pensa che non metterà mai al mondo figli, e sembra già un campanello di allarme. Ma la percentuale schizza al 28% nel caso degli over 30, cioè di quelli che hanno cominciato a fare i conti sul serio con la vita. Lo ha accertato una ricerca dell’Ipsos sui giovani tra i 14 e i 35 anni commissionata dal governo. La “paura” dei giovani è di non trovare un lavoro stabile (riguarda il 33% degli under 20 ma ben il 62% degli over 30). Notare che per il 75-80% di loro la mancanza di un lavoro stabile compromette la propria realizzazione personale. Paura di procreare. Dunque su lavoro e figli l’animo dei giovani è “paura”. Il che autorizza a pensare che non sarà facile nei prossimi anni fermare il calo delle nascite. Secondo gli ultimi dati Istat i nati nel 2018 sono stati 449mila. Rispetto a dieci anni fa, 120mila in meno; 9mila in meno anche rispetto al 2017. Negli anni dei baby boomers i nati erano sul milione e passa. In Italia il tasso di fecondità è notoriamente molto basso: 1,32 figli per donna, mentre in Francia siamo a 1,9 e in Inghilterra 1,8. Anche se il tasso di 1,32 si è mantenuto stabile rispetto allo scorso anno, il calo delle nascite è proseguito lo stesso. Il calo delle nascite protrattosi incessantemente per molti anni ha prodotto un restringimento della platea di uomini e donne in età fertile, cioè di genitori, innescando un circolo vizioso. A prescindere? No. Sembra dunque più che ragionevole riconoscere nella paura e nell’insicurezza esistenziale la cifra distintiva del nostro tempo, l’ordito della nostra esistenza personale e collettiva. E pensare che c’è ancora chi liquida questo giudizio come frutto di esagerazione o addirittura di ossessione: ma se hanno paura anche i vip… Il problema è ineludibile, e può formularsi come segue: “Ci si domanda: che cosa può davvero vincere la paura?”.  E’ bene che gli uomini leali e pensosi – ci sono ancora! – si facciano carico insieme di questa questione, confrontando esperienze e ipotesi di lavoro costruttivo volto al bene comune. Nelle agenzie educative, nei corpi intermedi. Nella Chiesa. In politica. I cristiani in prima fila, con la proposta – non che si asserisce aprioristicamente ma che si propone alla verifica dell’esperienza – del fatto stesso di Cristo presente e con la passione che ne nasce per la realtà. Così famiglia, genitorialità, futuro dei giovani, senso e condizioni di lavoro, non possono non trovare il massimo di attenzione, cura e sostegno. Invece, raggruppare giovani nelle associazioni o nelle parrocchie, o organizzare corsi fidanzati “a prescindere”, cioè astraendosi, sarebbe una perdita di tempo. Anzi, molto peggio. Oppure affrontare, poniamo, sempre “a prescindere”, le prossime elezioni europee di maggio (o non occuparsene affatto), sarebbe un peccato. Un vero peccato. E vogliamo evitarlo.