Editoriali

Politica, il senso del limite

Aldo Moro

Aldo Moro

La sala consiliare di Sassoferrato domenica scorsa era piena come non mai e non per un assise comunale o sentir dibattere su piani regolatori o mozioni rilanciate all’infinito. A tema c’era la figura di Aldo Moro raccontata tra gli altri dal direttore de “L’Espresso” Marco Damilano. Nessuna autoreferenzialità sul personaggio proprio per il rischio, di fronte ad una possibile… nomination da aureola, di “imprigionarlo” di nuovo e di focalizzare tutto lo sguardo su quei 55 giorni che l’Italia intera sta celebrando tra speciali televisivi e format di ogni salsa. Come se quello che contasse fosse solo la drammatica vicenda finale di cronaca nera dove Moro viene propinato sempre, per usare la concreta immagine di Mario Luzi “acciambellato in una sconcia stiva”, contornata di sospetti, complotti e spionaggio, riducendo però la traiettoria umana di uno statista che viveva la politica come servizio e passione. Forse quella gente accalcata sugli scranni della sala di un consiglio comunale aveva solo desiderio di questo. Capire come mai a distanza di 40 anni la politica sia lontana anni luce da quel tipo di visione, e si insiste invece in una situazione di stallo che blocca irrimediabilmente ogni possibilità di costruire un futuro al Paese. Tutto ridotto alle percentuali di voto ottenute ormai in quel 4 marzo sempre più distante. “Quegli elettori sono miei” si grida in ogni circostanza. E ci si fa forti del bottino racimolato. Senza porsi magari la domanda che quel popolo, forse stanco e risentito, abbia voltato le spalle a quei numeri su cui invece i nostri politici fanno valere le loro ragioni. Eppre Aldo Moro queste cose le andava dicendo già nel 1974, ovvero che gli elettori non sono di nessuno e fanno ciò che vogliono. “Datemi da una parte milioni di voti, toglietemi dall’altra parte un atomo di verità ed io sarò comunque perdente”, soleva dire il politico pugliese e la frase, nella sua provocazione, è stata poi ripresa domenica scorsa dal giornalista Damilano. E’ quello che manca oggi alla politica. Un atomo di verità. Una minuscola particella di un elemento, ma anche una struttura nella quale è organizzata la materia. Dal piccolo si sprigiona il grande. Alla ricerca della verità. Perché la politica non può prescindere da un rapporto con la verità: su se stessa e sul Paese cui si rivolge. Puoi prendere una barca di consensi e poi perdere ugualmente, perché non hai una verità, ovvero un progetto, una visione. Ed i nostri politici che preferiscono rimanere in campagna elettorale permanente, tra dichiarazioni non troppo impegnative e riflettori al seguito, in una processione laica dai gusti poco gradevoli, non se ne accorgono nemmeno. L’onnipotenza della persona, il ruolo di un potere che allontana dalla realtà. Per questo colpisce, sempre ritornando a Moro, come nel racconto del direttore de “L’Espresso”, resta scolpito un episodio vissuto da piccolo quando il padre lo aveva fatto entrare in una chiesa ad osservare una persona. Era una figura inginocchiata e stava pregando Dio. Questo giovinetto non sapeva che si trattava di una figura potentissima, che aveva in mano tutto. Era infatti Aldo Moro, a quel tempo il più influente, il più ricercato nel nostro Paese, un premier, diremo, ma non come oggi. Ebbene in quel flash, con lo scorrere del tempo il bambino, poi diventato grande, ci ha letto il riconoscimento di un limite, un  gesto fortemente sovversivo. La domanda di un uomo a cui comunque manca qualcosa. Perché la politica non è tutto, c’è un di più che non riesce a colmare e che rappresenta il suo mistero e il suo fascino. E allora c’è solo bisogno di affidarsi per trovare un’ispirazione, per raccogliere un sostegno, per percepire un’idea. E talvolta non serve il semplice appoggio, per quanto formale, di un io come te. Un personaggio d’affari americano Donald McGannon ripeteva che “la leadership è azione, non posizione”, ovvero che incagliarsi dentro un ruolo soprattutto di prestigio frena l’umano, mentre agire e muoversi con la consapevolezza di una fragilità che è connaturata all’uomo, costringe ad un’appartenenza reale al presente per anticipare scelte e progettare rilancio e crescita. Tutta quella gente a Sassoferrato forse chiedeva questo. Di ritrovare altri uomini inginocchiati e consapevoli del proprio nulla che decidono però del nostro destino. Senza paura, ma con coraggio.
Carlo Cammoranesi