Cultura

Il Premio Gentile ricorda Carlo Bo

Carlo Bo a Fabriano nell'edizione del 1998

Carlo Bo a Fabriano nell'edizione del 1998

Nel 2021 ricorre il ventennale della comparsa di Carlo Bo, scrittore, critico letterario, Senatore a vita, Rettore dell’Università di Urbino per oltre cinquant’anni (1947-2001) e fondatore del Premio nazionale Gentile da Fabriano. La XXV edizione del Premio, sul tema “Sfide e opportunità in un tempo difficile”, si terrà, in suo onore, sabato 9 ottobre al Teatro Gentile, con una cerimonia condotta da Giorgia Cardinaletti, affermata giornalista e conduttrice fabrianese del Tg1. I premiati dalla Giuria, presieduta da Giorgio Calcagnini, Rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo: Ginevra Bompiani, Emanuele Satolli, Maria Chiara Carrozza, Innocenzo Cipolletta, Beppe Severgnini, Valerio Bianchini, Eugenio Coccia. Per l’occasione l’Associazione Gentile Premio ha promosso una significativa, duplice iniziativa collaterale: 1. La nuova edizione del volume di Carlo Bo, Don Mazzolari e altri preti, con una lunga introduzione del Card. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e dieci incisioni all’acquaforte dello straordinario artista urbinate Renato Bruscaglia; 2. Il cofanetto Per un omaggio a Carlo Bo, con un’antologia di scritti di Carlo Bo, introdotti dallo scrittore e giornalista Paolo Di Stefano, e Artisti per Carlo Bo, con venticinque opere di altrettanti artisti italiani dedicate al grande intellettuale ligure, marchigiano di elezione, presentate dal critico d’arte Nunzio Giustozzi, art director di Electa. Entrambe le iniziative sono state rese possibili dal contributo di Diatech Pharmacogenetics e Fedrigoni SpA. Nell’occasione, vorrei portare un piccolo contributo alla conoscenza di Bo, riprendendo qui alcuni aspetti del suo lavoro critico. Contributo che fa riferimento al rapporto tra fede e cultura nella sua feconda esperienza intellettuale. Lo stile e il suo metodo di ricerca sono caratterizzati, nella sua scrittura, dal tentativo di superare la levigata superficie dei riferimenti culturali e degli eventi per porre la questione del valore, della riappropriazione del valore, e quasi sempre attraverso la soluzione interrogativa, l'esercizio del dubbio ed una ‘salutare’ contestazione della facile retorica e degli accomodamenti imposti da quella che definisce la «dittatura delle cose». Nel solco di una mentalità e di una cultura essenzialmente storicistica, quale quella italiana - l'Italia è, non a caso, la patria di Machiavelli e di Guicciardini - per cui il giudizio morale si stempera o si risolve in una serie di concatenazioni e giustificazioni storiche, quella di Bo è stata una delle voci che con maggiore insistenza si sono soffermate sul tema dei valori, ricercati all'interno dei temi perenni della condizione umana. Con un'accentuazione forte, direi quasi intransigente talvolta, degli obiettivi mancati, del divario troppo vistoso tra gli ideali e la realtà, senza adesione alcuna alle mode, nello stile proprio della critica e della testimonianza di un “aspirante cristiano”. Bo ha saputo cogliere con grande acutezza i limiti connessi con lo sviluppo economico e sociale della società italiana e. direi, europea. Non può certo coinvolgerlo l'accusa che Pietro Scoppola muove (cfr. La nuova cristianità perduta, Roma, Ia ediz., 1985) alla cultura cattolica nazionale, per non aver compreso che il benessere e il consumismo avrebbero inesorabilmente portato ad una progressiva emarginazione della coscienza religiosa e a quella forma di secolarizzazione che lo storico interpretava come una caduta in un vero e proprio vuoto etico. La civiltà dei consumi è definita da Bo come «una catena fondata sulle illusioni delle cose» che strumentalizza e addormenta l'uomo. «Il traguardo del benessere – afferma - quando non sia suscettibile di altri sviluppi, quando lo si tenga gelosamente riservato ai nostri desideri, si trasforma in una gravissima offesa per la famiglia umana. È assolutamente indispensabile che insieme al pane si dia all'uomo una certezza, il segno di una forza morale». Altrove Bo ammonisce a non fare del benessere un mito e a non servirsene come di un comodo tranquillante. Gli stimoli che fuoriescono dalla sua pagina interpellano, in primo luogo, la coscienza del cristiano stimolando il suo impegno per vincere l'inerzia, la rassegnazione, «lo spirito di dimissioni» che sembra aver prevalso sin dal momento della ricostruzione, nel primo dopoguerra. I partiti politici e le classi dominanti non hanno realizzato pienamente i propositi iniziali perché non hanno avuto preoccupazioni di ordine culturale. Ma responsabilità e limiti non vanno visti solo sul versante dei partiti e delle istituzioni, ma anche in quello della stessa cultura, che in tante sue espressioni ha fornito consenso alla stanchezza e al disimpegno. Quella cultura che dopo aver posto come meta «il rinnovamento dell'uomo e della società nella giustizia, nella libertà, nel rispetto degli altri, a un certo punto ha buttato a mare tutto questo e ha alzato la bandiera della perfetta disponibilità, cioè dell'annullamento di ogni verità». I singoli non hanno certo fatto opposizione ad un lento tramonto di certezze e di valori: le loro rivendicazioni hanno quasi sempre finito con riguardare la tavola degli interessi privati, dei possessi minimi, privi di anima. L'obiezione di Bo si fa talvolta ancora più penetrante: «Non diciamo che sono state le idee, le fedi a tradirci, diciamo piuttosto che noi non siamo stati in grado di sostenerle, di viverle. Entrare nel branco può diventare, a un certo momento, una soluzione ed è quello che l'osservatore purtroppo vede applicato ogni giorno con maggior pervicacia e ostinazione». Ha trionfato su tutto una nozione dell’esperienza politica priva di animazione morale. Per anni si è andati avanti con professioni di fede e di intenti che rientravano «nel capitolo inesauribile» della retorica. Qui la parola sembra aver perduto la sua prima qualità di ricognizione e ricerca della verità per divenire una pura maschera e «trasformarsi nel più comodo degli alibi». L'uso strumentale della parola è servito dunque a radicare meglio la pianta del potere individuale, sostituendo l’idea di verità con quella di opportunità. Siamo stati travolti, in tante occasioni, fa rilevare Bo, da un fiume di parole che stavano ad indicare una sorta di fallimento dell'uomo. La cosiddetta fine delle ideologie ha coinciso con la vittoria dello «spirito di dimissioni». Occorrono atteggiamenti nuovi, che aprano un tempo nuovo, il tempo della partecipazione attiva, il tempo di uomini «che sanno pagare la propria morale, oltre che proclamarla».

Galliano Crinella, direttore del Premio nazionale Gentile da Fabriano