Cultura

Comunicazione e conoscenza: eterno conflitto

La comunicazione, con l’avvento dei social, ha modificato la sua veste. Molto  dipende dal tipo di servizio che si decide di offrire e quindi di utilizzare da parte dell’utenza, rispetto al tradizionale cartaceo e ai giornali: quotidiani, settimanali, periodici. Il mondo del web è utile perché consente un aggiornamento con notizie scandite addirittura ora per ora, o un approfondimento su tematiche che riguardano, come succede a noi, la vita di Fabriano e delle città della diocesi. Nel terzo millennio l’idea del panorama editoriale con una molteplicità di voci diverse, ha dato vita ad un sistema dinamico, ad una piattaforma orizzontale, dove chiunque può dire la sua. I più ottimisti pensano che potrebbe avvenire qualcosa di analogo anche nell’editoria digitale, seppure i contesti siano diversi e resti un problema di fondo legato al funzionamento della pubblicità online. Oggi la sfida comunicativa si gioca per lo più su “come si comunica” invece che su “che cosa si comunica”: conta il mezzo, il canale, il medium, piuttosto che il contenuto in senso stretto. Nella comunicazione 2.0 è più importante come le cose vengono dette e trasmesse. Sfruttare la forza dei new media significa comunicare con un megafono. L’impatto, la viralità e la trasversalità sono elementi efficaci, molto visibili. Non si può prescindere da questi modelli che finiscono per incidere anche sul versante giornalistico. Un piccolo sguardo all’attualità, analizzando il risultato sorprendente delle elezioni americane, ci apre gli occhi. Sappiamo che i social media hanno avuto un peso determinante sull’andamento di queste elezioni. L’efficacia di internet si è verificata principalmente nella mobilitazione di supporters e nell’attività di foundraising, che rappresenta la vera benzina della campagna elettorale statunitense. Trump è stato proclamato a tutti gli effetti re dei social come forza e seguito. Ci piace citare una considerazione che riguarda la funzione cognitiva. Lo scrittore statunitense Nicholas Carr, con “Internet ci rende stupidi?” (Cortina 2016) ha lanciato il sasso nello stagno, sostenendo che a causa della rete la capacità di attenzione sia in caduta libera e  che il pensiero sia passato dalla linearità riflessiva ad un processo di apprendimento che procede per piccoli scatti sconnessi. Ovvero al pensiero distratto, che fa il paio con un apprendimento sempre più superficiale: letture rapide che si dimenticano all’istante e l’abbandono di ogni senso critico. E’ questo il rovescio della medaglia, per cui non dimentichiamoci che la conoscenza non potrà mai essere sostituita dalla comunicazione, il sapere dall’informarsi. Sì alle nuove frontiere dell’online, sapendo che non sono sufficienti a soddisfare la complessità della richiesta umana nel solo universo del web.