Cultura

La rimostranza di Fabriano

Percorro la SS 76 in direzione Jesi. Sono le 9 del mattino di un venerdì. Lungo le gallerie si procede a 50 km orari e c’è un lungo incolonnamento di furgoncini che trasportano merce alimentare: procedono lentamente. Qualcuno, spazientito, suona il clacson per chiedere di aumentare l’andatura, in quanto il sorpasso è impossibile. Il raddoppio della SS 76 rischia di diventare una grande incompiuta proprio mentre il traguardo sembrava essere vicino. Non è in ballo solo la sicurezza delle nostre strade, il collegamento con la costa attraverso una più veloce infrastruttura viaria, la percorrenza più breve da Fabriano ad Ancona (o meglio dall’Umbria all’Adriatico), ma la sensazione che ancora una volta la nostra città rimanga isolata, penalizzata. L’isola felice di un tempo è l’isola che non c’è: l’ultima sconfitta dopo la consegna della regione, a livello istituzionale, alla lontana, si fa per dire, Pesaro. Avere un Governatore di casa nostra costituiva una garanzia di protezione, non solo un punto di forza. Ma stavolta non è la politica ad essere sotto accusa, quanto la ditta che sta svolgendo i lavori e che sarebbe alle prese con problemi che riguardano altri appalti. Perché di fatto il raddoppio della SS 76 è stato interamente finanziato. Ciononostante Fabriano rimane con il fiato sospeso. Il sindaco Santarelli scrive al Ministro Toninelli per attivare immediatamente un tavolo di lavoro. L’opera è terminata per l’85% e non si può restare con le mani in mano proprio adesso. Quadrilatero e Anas stanno cercando di offrire un adeguato supporto, ma la ferie estive non iniziano sotto i migliori auspici. Cosa dovremmo aspettarci a settembre, quando perdurerà la crisi economico-occupazionale e non vedremo svolte dietro l’angolo dal punto di vista industriale, specie per i nostri cassaintegrati? Una strada ancora chiusa, con le ruspe ferme, senza operai e con i cantieri trasformati in casupole disabitate. Una carreggiata divisa in due e una fila di autovetture incolonnate fino a Serra San Quirico. Non è un bel vedere. Il termine infrastruttura designa quel complesso di beni capitali che, pur non utilizzati direttamente nel processo produttivo, forniscono una serie di servizi indispensabili per il funzionamento del sistema economico. Non possiamo perdere questa partita. Ricordiamo che lo stock delle opere pubbliche, nei paesi industrializzati, si aggira attorno al 35-40% dello stock di capitale complessivo. Meno strade, più povertà. Almeno in questo, la politica tutta è unita e lancia appelli congiunti, così come le categorie e i consumatori. Il sistema locale si ribella e dimostra di essere ancora vivo. Il rovescio della medaglia c’è sempre: stavolta in una rimostranza corale, efficace, definitoria. Avanti tutta.