Cultura

La città che non c'è

Concita De Gregorio

Concita De Gregorio

Al di là dell’aspetto cronachistico, non ci ha convinti la tramatura della trasmissione di Concita De Gregorio “Fuori Roma” andata in onda la settimana scorsa su Rai Tre, perché sono stati dimenticati alcuni aspetti viscerali dell’anima cittadina. Intanto l’origine fabrianese, il fabbro che batte l’incudine sul martello, segno di laboriosità artigianale che storicamente ha la matrice di Faber Janus, prima dell’avvento della risorsa carta e dell’esplosione della produttività degli elettrodomestici, con il boom economico negli anni Sessanta, che ha subito un forte arresto dopo la globalizzazione e la delocalizzazione di inizio millennio. Lo spirito del fabrianese, abituato a far di conto, ex metalmezzadro arricchito e ora spiazzato dalla spaventosa recessione economica, non è più uno spirito propositivo, frizzante, come è apparso dal filmato, ma polemicamente sanguigno, avversario di un modello prima imposto e poi naufragato, coinciso con l’allineamento perfetto del potere industriale e politico, due pianeti sorretti in un universo armonico. Una sorta di reddito di cittadinanza garantito dall’opulenza per più di trent’anni, adesso si è sciolto come neve al sole. Sulla carta, si registra la vendita del magnate Fedrigoni, passata sotto silenzio, e un futuro nebuloso, stando ai comunicati sindacali, mentre le singole iniziative sulle quali si è fatto luce nel programma, appaiono come un tentativo solipsistico, di buona fattura ma non coordinato, e quindi poco foriero di una vera novità che inverta la tendenza: quella novità che dovrebbe venire dalla creazione di posti di lavoro. Concita De Gregorio ha occultato completamente di menzionare, di intervistare, di dare il giusto rilievo alla città che soffre, alla Fabriano nascosta e impoverita: quella dei cassaintegrati e dei disoccupati, o degli inoccupati: i nuovi poveri che affollano la Caritas, i quali sarebbero stati cari al dettame di Papa Francesco. Il presidio delle fabbriche, le sabbie mobili sulle quali cammina un terzo della popolazione non ha occupato il video. Sarebbe stata una voce collettiva e molto comunitaria, senz’altro più interessante rispetto al riepilogo di una campagna elettorale che si è svolta lo scorso anno e che ormai non è più attuale. La fabbrica che non c’è, così come i giovani che se ne vanno e non tornano, doveva rappresentare il centro motore del reportage di Concita De Gregorio, che ha preferito una visione illuminata dal biancore della neve, una città ammantata, si fa per dire, di candore. Il fabrianese bisogna conoscerlo: per anni è stato accondiscendente, ora si è ribellato. Lo ha fatto con un segnale preciso, con l’unico mezzo che aveva a disposizione: il voto. La vittoria schiacciante del Movimento 5 Stelle e l’opzione per un sindaco innanzitutto molto giovane, dimostrano che le vecchie e le nuove generazioni, finito il termine di durata del contratto storico, dell’intesa imprenditori-lavoratori basata sul do ut des, hanno acquisito una posizione di protesta anarchica e di speranza laica. Poggiando le leve sul cambiamento e sostanzialmente bocciando la riproposizione di uno schema nel quale le migliaia di persone che non arrivano a fine mese non possono più riconoscersi. Il cosiddetto salto generazionale ha garantito uno scossone che ha tramortito, in primo luogo, i partiti tradizionali. Ma Concita De Gregorio non se ne è accorta.