Cultura

Paolo Merloni e il capitalismo familiare

Paolo Merloni

Paolo Merloni

Il 23 aprile, nell’inserto del “Corriere della Sera” riservato all’economia, c’è un’intervista a Paolo Merloni, 50 anni a maggio, presidente di Ariston Thermo Group (il padre Francesco, ancora attivo e ottimista, rimane presidente onorario). In una fase storica di congiunture economiche, dove le piccole imprese sono risucchiate dalle multinazionali, dove i grandi magazzini in mano specie ai cinesi soffocano gli artigiani, l’Italia, e ciò che è rimasto dei distretti industriali, naufraga nel mare magnum del mercato mondiale. Risalire la china diventa un rebus che né gli esperti economisti e i sociologi, né gli imprenditori, sono riusciti a risolvere dopo dieci anni di internazionalizzazione e delocalizzazione (i termini sono strettamente legati, nonostante si affermi spesso il contrario). Paolo Merloni, con un segnale che va in controtendenza, ha ricomprato lo stabilimento di Albacina dove partì l’attività del nonno Aristide. In questo sito nascerà un centro di sviluppo e di produzione di sistemi avanzati, qualcosa che ha quindi a che vedere con la progettualità, con le competenze e le professionalità. Cambiano i tempi e la preparazione tecnica è il requisito principale in un comprensorio abitato da nuovi poveri (le generazioni dei trentenni). L’intervista a cura di Raffaella Polato mette in risalto aspetti significativi e induce alcune riflessioni. 1) Paolo Merloni è ancora legato ad un mondo di affetti, come la sua famiglia. Buona parte degli 80 milioni che l’azienda investe confluiranno su Albacina e si lavorerà a stretto contatto con la fabbrica inclusiva di 120 persone a regime; 2) L’Italia garantisce solo il 10% dei ricavi dell’intero fatturato, ma Paolo Merloni non demorde e investirà ancora nel nostro territorio dove lavorano 1.600 dipendenti su un totale di 4.000 unità; 3) Quante altre multinazionali ci sono a Fabriano che intendono investire qui e non altrove? E’ avviata anche l’era delle multinazionali tascabili (termine coniato a suo tempo da Vittorio Merloni) che tornano in Italia, nei luoghi d’origine, o il caso menzionato è solo l’eccezione che conferma la regola? E’ questa nuova tendenza che può portare lavoro nell’entroterra marchigiano, come in altre regioni italiane dove la disoccupazione ha preso il sopravvento? Insomma, c’è da capire se si combatte solo a parole, o se con l’aiuto dell’amministrazione pubblica, del governo nazionale e delle regioni, nonché delle banche, sarà possibile avviare un’azione concertata per riportare il lavoro nelle zone della crisi cronica. Il capitalismo familiare ridà fiato, in attesa che qualche industriale si accorga di Fabriano e venga a produrre dalla nostre parti. Non si vive di soli Merloni…