Cultura

Così è se vi pare: cosa dicono i Millennial

I Millennial

I Millennial

Spesso si pensa di interpretare il pensiero dei giovani non ascoltandoli, ma intervenendo a piedi uniti sul loro fare, sulle loro aspettative e manchevolezze, dimostrando che lo scarto generazionale crea discrepanze. L’adulto formula un giudizio spesso negativo, cristallizzando una tendenza che non trova riscontro nelle generazioni dei cosiddetti Millennial, cioè coloro di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Vengono coniati o esaltati termini impropri: i bamboccioni, appellativo dell’ex Ministro Tommaso Padoa Schioppa, gli sdraiati (dal romanzo di Michele Serra e dal film di Francesca Archibugi), gli svogliati, i menefreghisti, gli indifferenti, i disimpegnati. Sono entrato in un bar cittadino cercando di far parlare un gruppo che stava disquisendo sul proprio futuro. Li ho ascoltati. Parallelamente mi è capitato tra le mani il quotidiano “Il Foglio” di sabato scorso, in cui Marianna Rizzini diceva la sua prendendo come riferimento uno studio dell’Istituto Toniolo. I giovani di casa nostra hanno voglia di studiare, di acquisire competenze, professionalità, e soprattutto di andarsene dalla provincia. Sono molto critici nei confronti della politica, osservano il comportamento dei leader senza una presa di posizione in favore di qualcuno. Non sono né di destra, né di sinistra. Giudicano rapsodicamente sulla base dell’empatia e soprattutto prendono coscienza che le famiglie (anche le loro) non arrivano alla fine del mese. L’ideologia e il partitismo sono decisamente respinti. Auspicano il cambiamento di mentalità, ma non sanno bene a chi appellarsi. Odiano le ingiustizie perpetrate a danno delle persone e delle generazioni sofferenti per la crisi economica e occupazionale. La responsabilità è di chi li ha preceduti e a soffrirne sono specie i neo laureati senza prospettive. Questi Millennial non mi sono sembrati menefreghisti o disimpegnati. Sui vocaboli esiste una certa confusione: cosa significa essere populisti? Esaltare i luoghi comuni, disilludersi, dire sempre di no? Oppure ripudiare, ad esempio, il negativo che traspare dagli attriti di questi giorni, dove le offese, un linguaggio becero, da una parte e dell’altra, investono Di Maio, Salvini, Berlusconi e Renzi? E’ interessante, risalendo ancora alla ricerca dell’Istituto Toniolo, captare il senso dei vocaboli. Non si può che condividere. I giovani sono autotrascendenti, cioè hanno la capacità di rapportarsi al contesto sociale; autodeterminati, con autonomia di pensiero (è proprio vero). Quindi autopromozionali: da questo punto di vista i social trasmettono l’opportunità di affermazione in proprio, di soggettività, di inquadramento del proprio io interattivo. Al bar, infatti, i Millennial fabrianesi avevano innescato la polemica proprio a partire da un post apparso su Facebook e che aveva a che fare con le università marchigiane e con la sinergia scuola-lavoro. Si trattava, peraltro, di opinioni espresse civilmente. I giovani puntano sulle soft skills, dice l’Istituto Toniolo. Cosa sono? Le abilità non legate ad una professione particolare, più che la discussione sull’articolo 18 e sul Jobs Act. I giovani sono elastici, non stanziali, pronti a spostarsi, ad andare all’estero, eventualmente a tornare se dovesse terminare la fase di congiuntura così repressiva. Si mettono in gioco, apertamente. Rivendicano autonomia e decisionismo nei limiti del possibile. In un pirandelliano specchio di facce, la loro disaffezione non è sinonimo di asetticità. I giovani hanno una purezza che non può essere contraffatta dall’opportunismo e dalla saccenza degli adulti. Abbiamo consegnato ai ventenni e ai trentenni un Paese senza prospettive, ma è così difficile riconoscerlo.