Cultura

Come fare senza i Merloni?

Il centro storico di Fabriano

Il centro storico di Fabriano

Ricordo che tempo fa si parlò del futuro di Fabriano e qualcuno disse in un video postato su Facebook: “Come fare senza i Merloni?”. Come a dire che la nostra città aveva perso l’ala protettiva, il senso della delega, la forza propulsiva di una famiglia che di fatto ha detenuto il potere economico e politico per più di un cinquantennio. La vendita della Indesit e l’arrivo degli americani, dopo la morte di Vittorio Merloni, sono stati il segno tangibile del trapasso non solo generazionale, ma la fine di un’epoca iniziata nel dopoguerra con il boom economico e chiusa con la delocalizzazione e internazionalizzazione, che hanno tolto migliaia di posti di lavoro nelle fabbriche. Nel mezzo la città, orfana di una dinastia, ha tastato il polso della situazione, ha sviluppato analisi chiamando a sé industriali, sociologi, professori universitari, ma non ha deciso il suo futuro. Il commercio non è stato rafforzato e l’unico imprenditore fabrianese che vive in città è rimasto Francesco Casoli. Nel frattempo la diretta emanazione del vigore merloniano si  è persa anche nella gestione della cosa pubblica: Gian Mario Spacca, Roberto Sorci e Luigi Viventi non hanno più alcun ruolo, mentre Fabriano è passata dal governo di centro-sinistra, ormai stantio, ad una vittoria schiacciante del Movimento 5 Stelle, rompendo la lunga egemonia dei democratici di sinistra. Dunque: che fare senza i Merloni? Ci sembra che l’interrogativo sia posto con netto ritardo, perché bisognava diversificare il prodotto di mercato già trent'anni fa per non ridurci a città smembrata, di cui la figura storica del metalmezzadro è rimasta solo un lontano e mesto ricordo. Bisognava far crescere una classe politica che non ha espresso dirigenti se non in un entourage ristretto, favorire il ricambio di soggetti operativi, alimentare una rappresentanza piccolo-borghese che non si è mai esposta. Fabriano è oggi una realtà impreparata a sopravvivere a se stessa, ma con un tessuto sociale integro. La gente sa far di conto, sa rimboccarsi le maniche, sa mantenere le tradizioni e ama il proprio habitat (il Palio di San Giovanni Battista lo ha dimostrato ancora una volta). Si prepara ad affrontare il secondo decennio del terzo millennio come una città sostanzialmente anonima. Ma questo non significa che sarà una città perduta. Ha bisogno di competenze, professionalità, risorse da mettere al centro dei servizi, del terziario e dell’artigianato. Dovrà costruire un nuovo modello, esattamente come altre città parallele che soffrono la perdurante crisi. Non siamo un’isola in mezzo al mare, né un caso unico e irripetibile. Considerando anche che chi ha lasciato Fabriano per studiare e lavorare altrove, sarà seguito da moltissimi giovani. Un dato è certo: avremo minore densità di popolazione, come sempre succede quando manca un'occupazione primaria.