Cultura

Elio Palego e il desiderio del ricordo

Elio Palego

Elio Palego

“Karakorum. Hunza 1983” è un libro scritto da Elio Palego, che è un medico. Non è raro trovare proprio in questo settore professionale, chi scrive abitualmente. Anche grandi autori letterari: si pensi a Carlo Levi, Mario Tobino, Giuseppe Bonaviri e Andrea Vitali. Lo facevano e lo fanno, raccoglievano e raccolgono, per lo più, esperienze penetrate nella loro coscienza, prima ancora che nella loro conoscenza. L’ex primario del Pronto Soccorso di Fabriano, che forse con il tempo ci offrirà anche una testimonianza scritta, diretta del suo lavoro esercitato con perizia e passione per tanti anni, ha voluto raccontare il Karakorum, la spedizione del 1983 di un gruppo di persone di Fabriano che purtroppo è rimasta negli annali della storia locale per la tragedia che comportò: la morte di due partecipanti a quell’avventura. Palego scrive fluidamente, lo fa come solo un medico potrebbe fare: cioè muovendosi in superficie, come osservando dei capillari sottopelle, con uno stile che raccoglie, in prevalenza, sensazioni subitanee. Quindi inquadra i suoi protagonisti mediante vicende, aneddoti. Senza entrare nel dettaglio della storia, del plot, che appartiene interamente a chi ha distribuito queste pagine in sequenza con lo scopo di restituire il ricordo, colpisce proprio la dinamica della scrittura. Palego è un raccoglitore di dettagli e riesce ad esprimersi partendo da un oggetto, da un’agente atmosferico, da uno sguardo, da una parola apparentemente priva di significato, detta a bassa voce, meditata, ben scandita. Il suo narrare accompagna la meticolosità del rivivere quell’esperienza dannata a distanza di più di trent’anni, ma come un desiderio. Desiderio di non lasciar cadere nel nulla ciò che successe, il prima e il dopo. Ma se non fossimo di fronte ad un medico che metabolizza uno stato d’animo, non rimarrebbe niente di una scalata di cime inviolate. Invece emerge in modo eloquente l’immagine della gioia (breve) e dell’angoscia (perdurante), di sentimenti decisamente contrapposti. Il libro è un bel diario, un vademecum, un taccuino scandito per giorni. I riferimenti, ovviamente reali, sono concitati, come l’apprensione e la notizia della morte di due amici. Scrive Elio Palego: “Cosa dire ancora di Stefano, è passato nella mia vita come una meteora, ma la traccia di luce che ha lasciato è ancora viva davanti ai miei occhi. Era un entusiasta, un generoso…”. Mi viene in mente una frase del grande Emil Cioran, contenuta nel volume “L’inconveniente di essere nati” (1973): “Se è vero che con la morte si ridiventa quello che si era prima di essere, non sarebbe stato meglio limitarsi alla pura possibilità, e non uscirne? A che serve questa deviazione, quando si poteva rimanere per sempre in una pienezza irrealizzata?”. Questo dilemma non affiora dalle pagine di Elio Palego in modo diretto, tremendo, ineludibile, ma sembra di presagirne l’impulso trattenuto. Il dire è contenuto, immerso in un velo di malinconica resa, di nostalgia affranta per la vita che non è stata, di amore per il prossimo, per i più giovani. Fare i conti con l’assoluto non appartiene a questa prosa dalle tinte poetiche, ma sarebbe appannaggio di un saggista che avrebbe scritto un altro genere di prosa. Il medico preferisce refertare in modo cronachistico l’accaduto corredandolo delle sue impressioni, come quando annota senza pudore: “C’è stato un momento di così cupa disperazione e di tale regressione ed irrazionalità, che pensavo che pur di lasciare questo posto da incubo e far ritorno a Fabriano, sarei stato felice perfino di morire, subito dopo avervi riabbracciato”. Il bene e il male si incontrano fatalmente e convivono in questo racconto e nella mente di Elio Palego. Il dramma e la perdita di quel terribile passato sono una difficile sopportazione, una sorta di equivoco, in effetti un incubo, per riferirci al termine esatto che è stato immortalato dall’autore. Del resto sono i fatti negativi che generano l’uomo desiderante, lo scrittore. La gioia è banale, si evidenzia da sé, ma il dolore ha bisogno di spiegazione e di interpretazione. Se le parole non nuocciono, non bastano mai. Stimo da tempo Elio Palego e la sua rara intensità. Lo conosco come medico scrupoloso, ma avevo letto anche altre cose uscite dalla sua penna. Quando ci parlo non nascondo una certa esitazione, ma non per il rispetto del dottore che ho spesso visto in camice bianco, bensì perché può metterti al corrente di qualcosa di interessante, anche quando utilizza la grazia dell’ironia. E’ una persona che sa prestare attenzione come pochi e introiettare ciò che percepisce (per questo è uno scrittore). Sa essere una fonte di informazioni non banali sulla vita sociale, comunitaria. Elio Palego rientra in quella categoria di soggetti dediti all’ascolto attivo: cerca di capire e di capirti. E nell’epoca che viviamo lo ritengo un esempio certamente da seguire. Il suo libro è stato presentato il mese scorso all’Oratorio della Carità e ha riscosso un notevole successo di pubblico. Sono intervenuti il sindaco Gabriele Santarelli e l’alpinista Mauro Chiorri.