Chiesa

Don Vincenzo Bracci ci racconta la "sua" Africa

Don Vincenzo Bracci con i bambini del Coro di San Silvestro Abate a Butembo, in Repubblica Democratica del Congo

Don Vincenzo Bracci con i bambini del Coro di San Silvestro Abate a Butembo, in Repubblica Democratica del Congo

FABRIANO - «Questo viaggio è stata una delle esperienze più forti della mia vita». Sono le parole di Don Vincenzo Bracci, il Priore di San Silvestro, che dal 18 luglio al 3 agosto si è recato nella Repubblica Democratica del Congo, in Africa, presso il monastero silvestrino di Saint Benoît, nella città di Butembo.

Don Vincenzo, puoi dirci il motivo del tuo viaggio?

«Il nostro Monastero di San Silvestro è un Priorato Conventuale di cui fanno parte anche il Monastero del Santo Volto di Giulianova, in Abruzzo, e di Saint Benoît a Butembo, nella Repubblica Democratica del Congo. Per cui, dopo il Capitolo Conventuale, celebrato nel mese di ottobre del 2021, che ha visto la mia conferma a Priore per un secondo sessennio, ho ritenuto opportuno fare una visita anche in quella terra lontana».

Ci puoi raccontare il viaggio?

«Sono stato accompagnato da Don Landry, che è congolese ed è consigliere del Priorato di San Silvestro: dimora qui con noi a Montefano e segue anche la pastorale di Santa Teresa a Matelica. Lui è stato una guida fondamentale. Per me, infatti, si trattava del primo viaggio in assoluto in Africa, mentre in passato avevo visitato i nostri monasteri in India, Sri Lanka e Filippine. Per Don Landry è stata anche l’occasione di rivedere la famiglia. Abbiamo volato da Roma ad Addis Abeba, in Etiopia, e da qui a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo, dove siamo stati ospitati per una notte dai padri Assunzionisti, quindi con un piccolo aereo abbiamo raggiunto la città di Beni. Poi, per percorrere i 50 chilometri rimanenti per arrivare a Butembo, la nostra destinazione, abbiamo impiegato circa due ore tra strade piene di buche e polvere. Ho subito avuto modo di entrare in contatto con l’estrema povertà di questa terra, affrontata comunque da tutti gli abitanti con grande dignità».

Parlaci del Monastero di Butembo…

«È un bel monastero, fondato nel 2006, dove ci sono undici monaci, due novizi e due postulanti. C’è grande entusiasmo verso il cattolicesimo. Alla Messa celebrata ogni mattina alle 6.30 la chiesa è piena. Ed è “stra” piena la domenica. Ho incontrato un gruppo di aspiranti monaci: sono tanti e vogliono entrare in monastero, gli abbiamo detto che non c’è posto per tutti. Che peccato! Speriamo in un ingrandimento della struttura grazie al contributo che dovrebbe arrivare dai confratelli americani. E pensare che da noi, a San Silvestro, abbiamo tantissimo spazio ma pochissime vocazioni… Il monastero di Butembo dispone di una jeep fuoristrada: è un mezzo indispensabile per le vie di comunicazione che ci sono qui, piene di buche e polvere. E quando piove, fango. L’abbiamo mandata dall’Italia attraverso l'Associazione "Insieme per Costruire" Onlus di Giulianova alcuni anni fa attraverso i Cavalieri di Malta, via nave con un container: purtroppo sta cominciando a invecchiare e inizia ad essere un po’ “sderenata”».

Com’è la gente che hai conosciuto?

«Le persone, nonostante vivano in una situazione di povertà, sono sempre sorridenti, con occhi pieni di luce e di vita. I bambini erano curiosi nel vedere me, unica persona “bianca”. Mi chiedevano caramelle».

Hai tirato fuori il tema della povertà…

«Ho potuto toccare con mano il fatto che nel mondo c’è troppa ingiustizia, non si può sopportare tanta disuguaglianza. Lasciamelo dire: qui i belgi che hanno colonizzato ed “evangelizzato” il paese hanno sfruttato la popolazione e non hanno fatto niente per le strade, per le ferrovie, niente ospedali… Invece, ad esempio, in Sri Lanka e in India gli inglesi hanno lasciato cose buone. In Congo la gente è rimasta delusa che Papa Francesco abbia rinunciato al suo viaggio in questa terra abbandonata… avrebbe potuto gridare con la sua voce autorevole i tanti problemi che affliggono il paese. La povertà che ho visto mi ha sconvolto: di bello c’è, però, che la Regola di San Benedetto e il carisma di San Silvestro siano arrivati fino a qui, donando alla popolazione forza e fiducia».

Com’è stata la tua permanenza a Butembo?

«Sono stato accolto molto bene. Ed il tempo è stato sempre buono, con temperature oscillanti tra i 17 e i 20 gradi. Mi è venuto da pensare che il caldo africano… si fosse trasferito in Italia! Il 27 luglio abbiamo festeggiato Sant’Ugo, uno dei primi discepoli di San Silvestro († 1267), e in quella occasione il giovane monaco Don Bienfait ha fatto la professione solenne, cioè perpetua. Desideravano che io presiedessi la Messa nella lingua locale swahili, però non è stato possibile: così il priore di Butembo Don Adélard ha presieduto la concelebrazione in lingua francese, mentre io ho fatto l'omelia in italiano, tradotta in swahili da Don Landry, e ho ricevuto la professione dei voti di Don Bienfait. La gente è stata strafelice. Ho avuto anche l’opportunità di incontrare in Episcopio il Vescovo della Diocesi di Butembo-Beni, Melchisedech Sikuli Paluku: un personaggio davvero simpatico. Il 31 luglio, nella chiesa Cattedrale, ho partecipato a tre ordinazioni sacerdotali, fra cui quella del confratello Don Hugues, e alla ordinazione diaconale del confratello Don Gervais: il tutto è durato circa quattro ore e mezza tra canti, musiche e gioia. In quella occasione il Vescovo, che presiedeva la celebrazione, mi ha chiesto di intervenire. Ho parlato alla numerosa assemblea in italiano, con un monaco che traduceva, dicendo: “Qui è impossibile non credere che Cristo è risorto!”. Sono seguiti grida e applausi. Ho visitato la scuola locale, formata da una serie di casette con tetti in lamiera, ma a renderla viva è l’entusiasmo degli insegnanti che fanno tanto con poco. Oltre al coro dei monaci, ci sono altri due cori che animano la liturgia nella chiesa del monastero: il Coro Sant’Ugo composto da persone adulte, soprattutto giovani mamme e il Coro San Silvestro Abate composto da adolescenti e bambini. La cosa che mi ha tanto sorpreso e fatto piacere è che questi ultimi indossano una camicia bianca sulla quale hanno cucito la figura di San Silvestro che riceve la Comunione dalla Madonna».

Dunque, tante esperienze…

«Sì, molte. Anche quella di aver dovuto ricorrere alle cure dell’ospedale cittadino per un forte dolore ad una gamba, sopraggiunto negli ultimi giorni: mi hanno rimesso in sesto con una infiltrazione e delle compresse, dopodiché, fatto il necessario tampone per il viaggio aereo di ritorno, siamo ripartiti e al rientro a Roma siamo stati accolti all’aeroporto di Fiumicino da Don Alessandro, economo del monastero di San Vincenzo Martire di Bassano Romano».

Cosa resta, dentro di te, di questo viaggio?

«Da quando sono tornato, è proprio il caso di dire che sto “ruminando” tanti pensieri e tante considerazioni. È stata un’esperienza che mi ha toccato fortemente. Una volta di più, sono della convinzione che noi cosiddetti “occidentali” dovremmo riordinare la nostra vita, cercare di aprire gli occhi verso le altre parti del mondo, conoscere di più le culture degli altri popoli. E le situazioni in cui si trovano».