Dialogo

Palio, positività senza tradizione

Trentacinque anni fa, gli storici Hobsbawn e Range pubblicarono “L’invenzione delle tradizioni”, un saggio destinato a fare riferimento e rumore fra i cultori della materia per tutti gli anni successivi.
La tesi di fondo del lavoro era che molte delle tradizioni celebrate in vari Paesi europei erano state in realtà inventate in tempi molto più recenti di quelli a cui si ritenevano che risalissero.
In particolare, gli autori sostenevano che la gonna a scacchi, lo sporran e tutti gli altri accessori del costume scozzese risalissero a non prima del XVII secolo, anziché ai primordi della civiltà celtico-gaelica.
L’affermazione, come si può immaginare, fece molto arrabbiare gli scozzesi veraci, che si considerarono privati di un pezzo della loro storia e contestarono duramente i due studiosi.
Con questa premessa, accettiamo il rischio di essere contestati dai nostri concittadini Fabrianesi quando affermiamo che il Palio di San Giovanni non ha fondamenti storici oggettivi e documentati, essendo stato inventato poco più di venti anni fa.
Non intendiamo però perderci in discussioni accademiche, quanto piuttosto riflettere sul significato positivo dell’iniziativa, che a noi sembra particolarmente opportuna in questi tempi balordi, per una serie di ragioni.
Anzitutto, perché si presenta come un momento di sollievo rispetto ai condizionamenti della società cibernetica, che ci legano al resto del mondo attraverso la freddezza delle information and communication technologies: qui, lo spettacolo non è sciorinato su un display, ma svolto da persone fisiche vive, qui il gioco non è una sfida informatica, ma un confronto di forze e di abilità reali.
E questo, ogni tanto, ci vuole.
In secondo luogo, perché il riferimento alla tradizione, inventata o reale che sia, aiuta a riconoscersi in una identità comune e a tenere lontani, almeno per un po’, gli egoismi quotidiani che ci chiudono, spesso, nel nostro privato orticello; è una “chiamata alla identità” che abbiamo potuto constatare nel nostro vagare per città e villaggi d’Europa assistendo a manifestazioni che raccolgono la gente intorno alla riproposizione di usanze e costumi locali.
E, infine, perché, almeno ad oggi, questa sembra essere, a Fabriano, l’unica iniziativa regolarmente ricorrente (da ventidue anni) e veramente “popolare”, e cioè sentita e partecipata dalla gente comune.
Sono, queste, alcune delle ragioni per cui, a nostro avviso, il Palio di San Giovanni va oltre il suo innegabile profilo folcloristico e diventa, per la nostra città, un fatto culturale di prima importanza.
Qualcosa di più si potrebbe fare ponendo il Palio, ancor più di oggi, al centro di iniziativa collaterali, artistiche o gastronomiche; qualcosa da evitare sarebbe l’infiltrazione di venditori di souvenir fabbricati in Cina, anche se la cosa appare piuttosto difficile.
Ma comunque, va bene, anzi ottimamente, così.
Mario Bartocci