Dialogo

Appennino: dal post sisma al post Covid

I primi passi del nuovo Commissario straordinario alla ricostruzione post-sismica Giovanni Legnini sono apprezzabili. Seppur frenata dall’imporsi dell’emergenza sanitaria, la partenza è stata pronta, concreta e quindi promettente. Sblocco delle anticipazioni ai professionisti e del pagamento alle imprese, finanziamento delle perimetrazioni e nuove assunzioni di personale per gli Uffici Speciali per la Ricostruzione, definitiva assegnazione dei fondi della solidarietà per le opere già individuate e ricognizione di progetti da finanziare per i Comuni fino a 30.000 abitanti. Si annuncia una semplificazione della normativa in direzione di una maggiore assunzione di responsabilità di professionisti, banche e amministratori e di una più spiccata azione di controllo delle istituzioni locali e delle strutture commissariali. Resta aperta la questione di un provvedimento legislativo che deroghi al codice degli appalti, consentendo l’accelerazione vera della ricostruzione pubblica e privata. Anche su questo versante il Commissario si è detto impegnato e fiducioso che, anche a seguito degli effetti prodotti dall’emergenza sanitaria e della connessa esigenza di rapido rilancio socio-economico del Paese, l’obiettivo possa essere conseguito nei prossimi decreti per fronteggiare la crisi. Possiamo dire di essere, finalmente, sulla buona strada. D’altra parte, il Commissario - fin dalla sua nomina - ha espresso la convinzione che la mera ricostruzione delle aree del Centro Italia colpite dal sisma, se non accompagnata da un progetto di sviluppo, non sia sufficiente a rilanciare i territori dell’Appennino. Questa convinzione è ancor più vera oggi che il bisogno di ricostruzione e di uno sviluppo sostenibile ed equo è divenuta esigenza prioritaria nazionale ed europea. Se la ripresa post epidemica non potrà che avere al centro il rilancio degli investimenti pubblici e privati, è del tutto chiaro che esiste un cantiere “in potenza” che da oltre tre anni aspetta di passare “in atto” e basterebbe poco perché ciò avvenga. La ricostruzione dell’Appennino centrale è, quindi, una straordinaria occasione per contribuire alla fuoriuscita del Paese dalla crisi prodotta dal coronavirus. L’Agenda Ricostruzione Italia può e deve avere la Ricostruzione Sisma Centro Italia non solo come un proprio essenziale tassello, ma anche come il prototipo per un grande piano per la messa in sicurezza dell’intero Paese, che - oltre ad essere tanto necessario, quanto continuamente rinviato - consentirebbe un idoneo investimento delle risorse che l’Unione Europea sta mettendo in campo per la rinascita del continente. Il tema, tra l’altro, è ancor più di decisiva importanza per una regione, le Marche, che dopo l’impatto della crisi economica del 2008/2009, il sisma del 2016/2017 e l’attuale epidemia di coronavirus è provata da nord a sud in maniera profonda e inedita. La situazione marchigiana per la sua eccezionalità non può che risultare a livello nazionale come bisognosa di un’attenzione particolare, di una visione organica e di interventi tempestivi. Se quanto finora detto costituisce un aspetto del problema, l’altro aspetto è rappresentato dall’altrettanto necessaria riflessione su come cambia il nesso ricostruzione/sviluppo dopo l’emergenza coronavirus, specie per l’area del sisma Centro Italia. Questa riflessione è essenziale per orientare i futuri interventi rivolti allo sviluppo dell’intera area, i quali dovrebbero poter avvenire alla luce di un Piano Strategico che enuclei “sentieri” programmatici e progettuali, coerenti con le vocazioni dei territori e con gli indirizzi più generali dell’Agenda Ricostruzione Italia, e che possa contare per la loro attuazione su risorse certe, stabili nel tempo e di facile impiego. Proprio dal punto di vista dell’elaborazione strategica, l’emergenza sanitaria ha imposto alcune questioni rispetto ad altre. Provo a indicarle succintamente: 1) la nuova considerazione dell’importanza del livello pubblico, sia in ambito sociale che economico; 2) il ritorno di centralità dei sistemi di welfare socio-sanitari, territoriali, comunitari; 3) la “transizione verso la sostenibilità” non solo come sfida da raccogliere, ma ormai come concreta e irrinunciabile tabella di marcia da percorrere; 4) la fragilità delle aree urbane e periurbane, dove più acuta è stata l’emergenza coronavirus; 5) il “salto” tecnologico di massa al digitale, che abbiamo compiuto a infrastruttura invariata; 6) la problematizzazione dell’autonomia regionale differenziata e l’esigenza di rafforzare i livelli di governance; 7) la definitiva assunzione da parte dell’Unione Europea della risposta alle grandi catastrofi come una delle sue ragion d’essere, dotandosi a tal fine dei necessari strumenti d’intervento. Ecco, allora, che i “sentieri di sviluppo” elaborati all’indomani del sisma non solo conservano la loro attualità, ma possono trovare nell’insegnamento prodotto dall’epidemia sanitaria un’occasione di ulteriore approfondimento e di estensione all’intero cratere sismico, coinvolgendo le competenze delle Università delle rispettive regioni, con l’obiettivo di dare un contributo al rilancio del Centro Italia e del Paese, e di candidare l’Appennino a luogo ideale del futuro prossimo venturo.

Daniele Salvi