Dialogo

Nel ricordo di Paolo Minelli

Quando ci lascia un amico, spesso il dolore è pari a quello di un familiare, soprattutto se lo si conosceva da molti anni. Così, quando lo perdiamo per sempre, è terribile e vogliamo che il mondo intero sappia chi era veramente e quanto è stato importante per noi. Sto parlando di Paolo Minelli, un fotografo e documentarista fabrianese. Ci conoscevamo fin dalla fine degli anni ’50, caratterizzati dalla voglia di diventare grandi, dalle prime sigarette ostentate in pubblico, dalla passione per le moto e dalle prime cotte giovanili. Con il periodo dell’adolescenza la nostra vita prese altre strade e non ci vedemmo per più di una quindicina di anni, fino a quando scoprimmo che sua moglie e la mia fidanzata erano colleghe di lavoro. Non lo sapevo ancora, ma questa casualità contribuì a cementare un’amicizia, anche famigliare, che continua dopo quarant’anni. A Paolo piaceva fotografare, ma la sua passione era la cinepresa 16mm. A quei tempi io ero a digiuno di questo argomento e per me 16mm erano un centimetro e sei millimetri, invece lui si riferiva al passo ridotto cinematografico con cui si era già cimentato. Così la nostra frequentazione riprese ad essere quasi giornaliera, con Paolo che non smetteva mai di parlare di riprese, montaggio, documentari, ed io che rimanevo ammaliato ogni volta ad ascoltarlo. Evidentemente era così che doveva andare, finchè non mi si accese quella famosa lampadina. Una lampadina che mi spinse a capofitto su libri e manuali che parlavano di sceneggiatura, ripresa, stesura dei testi, montaggio, ecc. Così, dopo aver comprato una cinepresa Super 8 con moviola e proiettore, cominciammo a realizzare qualche semplice filmatino. Un giorno ci venne l’idea di provare ad entrare a Cinecittà durante le riprese di un film. Ci riuscimmo nella maniera più banale spacciandoci per due addetti al Cinefonico (sala di doppiaggio). Il sistema funzionò così bene che lo ripetemmo per altre tre o quattro volte. Noi li, in un cantuccio, a sognare ad occhi aperti nel tempio del nostro grande cinema, impietriti per l’emozione di stare ad un passo da quei grandi Maestri. A pranzo, poi, andavamo a La Cascina, il ristorante di fronte agli Studios, nella speranza di vedere attori e registi. Così eravamo noi, forse un po ingenui, ma affascinati da quel mondo di cui parlavamo continuamente. Nel 1981, armati di una grande dose di incoscienza, realizzammo due film a soggetto con attori tutti fabrianesi presi dalla strada. Paolo Minelli aveva scritto i dialoghi ed era il regista. Io montavo e sceglievo le musiche. Della troupe faceva parte anche Marco Galli, cinefilo da sempre, che seguiva e controllava la sceneggiatura durante le riprese. Sarà un caso, ma oggi egli è Docente di Discipline Cinematografiche all’Accademia Poliarte. In quei fine anni ’70 Nanni Moretti già faceva film in Super 8 che venivano proiettati nelle sale cinematografiche, e questo fatto accrebbe la nostra ostinazione nel continuare. Ad un certo punto i nostri obiettivi si diversificarono: io scelsi i reportage avventurosi in giro per il mondo e lui si interessò di tanti argomenti diversi tra loro, ma rimanemmo sempre in contatto. Come testimoniano le targhe e le coppe, Paolo Minelli ricevette numerosi riconoscimenti e premi in ambito nazionale. Diversi suoi documentari andarono in onda sul canale satellitare Stream. Tra i suoi lavori più belli c’è il documentario sul Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, il più importante d’Europa sull’argomento, che realizzò in 35mm, lo standard cinematografico. Un altro film di qualità è quello sulla figura di Dracula il Vampiro, con testi di Alberto Ciambricco, celebre autore di gialli, anche lui fabrianese, e voce del doppiatore Claudio Capone. Di pregio è il reportage sui Lipoveni, un popolo di origine russa residente nel delta del Danubio romeno, che Minelli girò sul posto. La sua attività professionale proseguì senza sosta con un documentario su San Silvestro Guzzolini e il nostro Monastero di Monte Fano, seguito da numerosi lavori per la Direzione delle Ferrovie dello Stato, Ufficio Relazioni Aziendali-Sezione Cinema, diretta da Alberto Ciambricco. Per quasi venti anni ha collaborato con TV Centro Marche girando la regione in lungo e in largo curando servizi di colore, di cronaca e di attualità. Questo, in grande sintesi, il ritratto di Paolo Minelli. Un bravissimo operatore, con un gusto speciale per la scelta dell’inquadratura che io gli invidiavo e un personaggio fabrianese al quale le cronache cittadine non hanno dato la considerazione che meritava. Ho cercato di farlo io perché glielo dovevo, soprattutto come amico, ma perchè è stato il mio mentore, la mia guida ai tempi dei miei inizi. Anzi, se non ci fosse stato lui, io non sarei mai esistito come filmaker.

Achille Corrieri