Dialogo

Siamo solo giullari?

Ho sempre pensato alla figura del Giullare come ad un estremo tentativo di accaparrarsi le grazie di qualcuno. Si perché questa forma d’arte espressa da questi personaggi era talmente ampia che potevano davvero essere uno nessuno e centomila. Musico, danzatore, giocoliere, ammaestratore, acrobata, lottatore, cantante, trampoliere, poeta e narratore per diventare un caleidoscopio di attività e di mestieri. Girava di corte in corte cercando di sopravvivere, e a volte grazie alla sua arte poteva assurgere a favorito dei principi e dei re fino a quando qualche re o sovrano non si stancasse di lui e dei suoi servigi. Ecco il punto è proprio questo. Finchè le cose andavano bene, finchè i Signori del tempo erano “sereni”, la figura del Giullare aveva speranza di potersi esibire e, quindi di sopravvivere. A distanza di secoli questo principio credo sia ancora saldo. Questo arresto forzato, con l’inevitabile chiusura di centri culturali, come i teatri, mi ha portato a pensare che forse oggi, la figura dell’attore come quella di tutti i lavoratori dello spettacolo, che credetemi sono molto di più di quelli che si possano immaginare, non sia poi così distante da quella del Giullare, dove finchè le cose vanno bene si trova un pasto ed un letto caldo ma, non appena nascono le prime difficoltà i primi ad essere dimenticati sono proprio loro. Allora in questi tempi difficili servono idee volte al futuro e la cultura potrebbe ripartire dal Teatro, inteso come luogo da vivere e patrimonio da riscoprire e sfruttare in termini di inclusione. Qualche giorno fa un gigante “Giullare” del teatro Italiano, Gabriele Vacis, ha lanciato una provocazione; RiAprire i teatri “[Un’idea per riaprire i teatri d’Italia, specialmente quelli storici: aprirli e tenerli aperti tutto il giorno e, venerdì e sabato, anche la notte. Aprirli veramente. Finora i teatri erano chiusi per la maggior parte del tempo, si aprivano al pubblico soltanto per le due o tre ore dello spettacolo. Apriamoli sempre! Gli spettatori potranno entrare ad ogni ora del giorno. Naturalmente non si potrà entrare in più di cento o duecento per volta. Ma l’estensione del tempo d’apertura permetterà d’incrementare le presenze. Gli spettatori troveranno la platea sgombra. Via le poltrone, perché all’inizio, nel settecento, le poltrone non c’erano. Torniamo alle origini. Così si potrà rispettare la distanza tra le persone. Sui palchetti il problema non c’è: uno spettatore per palchetto o gruppi di “congiunti” che possono stare vicini. Si potrebbe addirittura ripristinare la vendita dei palchetti alle famiglie]”. E cos’è che accadrà nei teatri? Tutto, accadrà tutto quello che non si vede ma che diventerà visibile ed accessibile a tutti. Come quando vai in un ristorante e vedi la cucina a vista. Bisognerà portare in scena tutto: le prove, le letture dei testi, la formazione degli attori, l’allestimento tecnico. Diamogli vita rendiamolo accessibile, facciamo in modo che diventi un’estensione di una città. Siamo chiamati ad interpretare un cambiamento che volenti o nolenti è già in atto. E guai a far finta che #andràtuttobene perché se non ci rendiamo conto, che già oggi non è più come ieri, avremo solo la speranza di poter sopravvivere. E la differenza tra tra il vivere ed il sopravvivere, non è mai stata così sostanziale!

Fabio Bernacconi